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Copertina | 02 ottobre 2025, 00:00

Sax Nicosia: Torino è casa, il Baretti la “familia” che ho scelto

Il direttore artistico del teatro di San Salvario presenta la nuova stagione “Aurea Familia”. E racconta: “In vent'anni ho visto questo quartiere trasformarsi, ma nel mio cuore ci sono i palazzi liberty di Cit Turin e i mercati delle piazze Benefica e Barcellona. Il Teatro? È vita”

Sax Nicosia: Torino è casa, il Baretti la “familia” che ho scelto

Ha calcato palcoscenici in tutto il mondo, ha co-firmato tre prime alla Scala, è stato Menelao nell'Elena di Euripide al teatro greco di Siracusa, ruolo che gli è valso il premio Assostampa come miglior attore tragico dell'anno, ha avuto maestri del calibro di Luca Ronconi, Tom Radcliffe e Davide Livermore, ha fatto l'attore, il regista, il direttore artistico. Eppure, è in una piccola sala storica di San Salvario che ha trovato se stesso e ha realizzato i suoi sogni.

Sax Nicosia, all'anagrafe Salvatore, è nato nel 1972 in un piccolo paesino dell'entroterra siciliano, Villarosa, ma la sua casa è sempre stata Torino, per motivi familiari e poi per scelta.

I miei vivevano già a Torino, ma per una tradizione di famiglia volevano farmi nascere in casa, in Sicilia. E così è stato: sono venuto alla luce nel palazzo di mio nonno e mi hanno dato il suo nome, Salvatore, come si usa al Sud per il primo nipote maschio. Tra l'altro mia nonna si chiamava Salvatrice quindi anche se fossi nato femmina non mi sarei allontanato troppo... Ma già da ragazzino tutti mi chiamavano Sax.

Come è nata la passione per il teatro?

Fin da bambino avevo manifestato un forte interesse per il canto e la recitazione. Mia mamma dice che già a 6 anni ero un bambino prodigio. La verità è che subito dopo la scuola ho scelto la strada del teatro e vent'anni mi sono diplomato all'accademia dello Stabile di Torino sotto la guida di Ronconi. Da allora non ho mai smesso di lavorare: ho avuto la fortuna di farlo con molti registi italiani e stranieri e sono membro fondatore, attore e regista della compagnia Nina's Drag Queens. Dal 2006 lavoro a stretto contatto con Livermore: con lui ho fatto regie in tutti i teatri del mondo.

Si sente più un attore o un regista?

Un attore, assolutamente un attore. Non potrei mai prescindere dal salire su un palcoscenico, è connaturato a quello che sono e a quello che mi piace fare: soprattutto raccontare le storie e vivere le vite degli altri, che detta così può sembrare una banalità però è l'essenza del mio lavoro. E tra il cinema e il teatro nessun dubbio: il teatro è il mio posto, il cinema mi piace ma non ne subisco il fascino.

La sua Torino.

Ho un rapporto strettissimo con questa città, la amo. Torino è a misura d'uomo, forse è un po' provinciale ma è casa mia, conosco le sue strade, i cinema, gli eventi, l'anima dei vari quartieri, le persone che la popolano. Ho vissuto ovunque nel mondo, ma sto davvero bene soltanto qui. Se proprio dovessi cambiare, sceglierei un posto con il mare, l'unica cosa che davvero qui manca. Vivo a due passi da via Principi d'Acaja, adoro Cit Turin, i suoi palazzi liberty e piazza Benefica, ma anche San Donato e il mercato di piazza Barcellona. Mi piace questa divisione meravigliosa, ma anche questa vicinanza fisica, tra quartieri borghesi e popolari.

E poi c'è San Salvario.

Ovviamente. A San Salvario sono arrivato nel 2003, quando non c'era quasi nulla. Di certo non i ristoranti, i pub e la movida che c'è oggi. Ricordo una sola pizzeria, Il Timone, in via Petrarca: chiudeva alle 22.30 e noi dovevamo elemosinare che tenesse aperto più a lungo per poter cenare lì dopo la fine degli spettacoli. Negli anni successivi ho visto i locali nascere come funghi, arrivare i ristoranti etnici... Ho visto largo Saluzzo piena di gente diventare il punto nevralgico della movida cittadina. E in questi vent'anni il Baretti è rimasto lì, sempre.

Già, il teatro Baretti.

Il Baretti è un punto di riferimento per San Salvario, un luogo di relazione, un presidio culturale solido. Il teatro si rivolge a tutta la città, certo, ma ricordo che il Baretti è principalmente un cinema: una sala di quartiere, frequentatissima dai residenti. La posizione poi è magica: a due passi da largo Saluzzo, a pochi metri da tre ristoranti sempre pieni, in una zona di passaggio costante sia di giorno che di notte. È anima del quartiere, un faro sempre acceso che illumina San Salvario e offre una cultura accessibile a tutti, con prezzi popolari e senza barriere. Indimenticabile quando l'anno scorso, dopo la 'prima' di “Il corpo consapevole”, vedendo il pubblico uscire entusiasta, un curioso Paolo Sorrentino, che era lì di passaggio, si è fermato a informarsi sullo spettacolo e sul nostro teatro.

Adesso un riferimento lo è anche dal punto di vista artistico...

Sì, se alludiamo all'iniziativa di arte urbana che da tre anni, cioè da quando ho preso la direzione del teatro, facciamo ogni apertura di stagione. L'idea era molto semplice: far dipingere un murales a un artista per descrivere la stagione ed esporlo all'ingresso del teatro, in via Baretti. Quello che è venuto fuori ha superato le mie aspettative: abbiamo coinvolto artisti fantastici e i sei pannelli dipinti sulla facciata del teatro hanno cambiato il volto della via, apprezzati tanto dai commercianti quanto dai frequentatori dei locali vicini. Quest'anno a firmare l'opera sarà Donato Sansone, che in questo momento ha una sua personale al Museo del Cinema. Vedere un artista di questo calibro tradurre in arte la mia visione sulla stagione è stata una delle emozioni più grandi della mia vita. L'appuntamento, per chi vuole venire a brindare con noi e a vedere l'artista al lavoro, è per il 10 ottobre.

Cosa rappresenta il Baretti nella vita di Sax?

Una seconda casa. Non è solo la sala a cui sono affezionatissimo per averci lavorato da attore, da regista e adesso da direttore artistico, ma è anche, e soprattutto, l'insieme delle persone che ci lavorano: Alberto Giolitti, Arianna Issoglio, Monica Luccisano e Federica Ceppa sono per me qualcosa di speciale. Posso dire senza esitazione che il Baretti è la mia famiglia, la famiglia che ho scelto.

E proprio la famiglia è il tema della stagione che sta per iniziare...

Sì, il tema sarà “aurea familia”. Per me è il terzo anno di direzione artistica, quello della maturità. I numeri per ora sono dalla nostra parte: il primo anno, dedicato alle donne con “Regine”, abbiamo raggiunto gli obiettivi, il secondo, sulla “Generazione Scenica”, quindi i giovani, abbiamo aumentato il pubblico, ora dobbiamo confermarci e possibilmente migliorarci ancora. La dedica alla famiglia non è casuale e vuole essere in continuità con il biennio precedente. Famiglia per me è il teatro, con tutte le sue componenti e con le persone che lavorano davanti e dietro le quinte. Famiglia sono i legami che crei e il Baretti stesso per me è la famiglia che non si sfascia, quella scelta, fatta di persone con cui si lavora, ci si confronta, si cresce, si vive. E non voglio dimenticare il pubblico, che è l'altro pezzo della famiglia: i nostri spettatori sono affezionati, portano gli amici, attivano il passaparola.

Che spettacoli ci aspettano in cartellone?

La stagione propone 11 titoli, tra ottobre e giugno. Alterneremo prosa, musica, drammaturgia contemporanea e performance. Come sempre daremo grande attenzione alla giovani compagnie under35. Del programma mi piace parlare di “Salam/Shalom”, che aprirà la stagione: la storia di un padre italiano e un padre palestinese che scelgono la pace contro ogni logica di vendetta (18-19 ottobre). Ma anche di “Arpagone” di Michele Santeramo, riscrittura moderna, ironica e crudele dell'Avaro di Moliere (20-21 novembre). Non posso poi non citare “Come una specie di sorriso”, omaggio a Fabrizio De Andrè in collaborazione con la Scuola Popolare di Musica (5-6 dicembre). E ancora “Il papà di Dio”, un'irriverente riflessione sul rapporto padre/figlio dal fumetto di Maicol&Mirco (12-13 marzo). Infine, cito ancora “Tutto il niente che ho da perdere” (5 giugno), lo spettacolo che chiuderà la stagione con una doppia stand-up al femminile e un dj set curato dalle Nina's Drag Queens. (per il programma completo cliccate QUI)

Lo spettacolo “Il corpo consapevole” merita un discorso a parte.

Sì, è stata una scommessa che per fortuna abbiamo vinto. È uno spettacolo bellissimo firmato da Annie Baker con regia di Silvio Peroni: è stato prodotto dal Baretti e non è scontato che una realtà piccola come la nostra riesca a produrre un lavoro tutto suo, nonostante i bandi comunali, regionali e delle fondazioni bancarie, che pur ci danno un enorme aiuto. Noi ce l'abbiamo fatta grazie al contributo economico di un “mecenate” privato, Luciano Daprile, che ha deciso di coprire quasi interamente le spese. Perché lo ha fatto? A dirla tutta è un frequentatore del teatro, ma non un super appassionato. A colpirlo è stato il tema trattato, quello della sindrome di Asperger, e probabilmente si è fidato di me e della mia storia da artista. Alla fine è rimasto molto soddisfatto del risultato e si è commosso in sala. Ma la vera scommessa su questo spettacolo è stata un'altra: lo abbiamo programmato per 6 serate, come mai successo prima al Baretti, e il passaparola ci ha permesso non soltanto di registrare una serie di sold out, ma anche di rimetterlo in cartellone in questa stagione. E, finito a Torino, lo porteremo addirittura a Genova, al teatro Gustavo Modena, in tournée. Finora, è stata la mia soddisfazione più grande”.

Un augurio per il futuro?

Vorrei che “Aurea Familia” fosse questo: la ricerca di una proporzione giusta tra memoria e futuro, tra la fragilità di chi muove i primi passi e chi ha già lasciato tracce. Nel teatro, come nella vita, la famiglia esiste quando le differenze convivono e si sostengono. Il palcoscenico è il nostro laboratorio di equilibrio, il luogo dove provare a riproporre un'armonia possibile.

Daniele Angi

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