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Cultura e spettacoli | 29 settembre 2025, 18:30

Wang Bing apre i Job Film Days: "Il mio lavoro è lento, il mondo non può essere sempre veloce"

Il regista che racconta la vita degli operai cinesi nei laboratori tessili è l'ospite dell'edizione 2025 della kermesse: "La prima volta a Torino vent'anni fa per la proiezione de Il distretto di Tiexi"

"Youth" di Wang Bing

"Youth" di Wang Bing

Il regista cinese Wang Bing è l'ospite speciale dei Job Film Days 2025. Classe 1967, è venuto per la prima volta a Torino vent'anni fa, in occasione della proiezione del suo documentario "Il distretto di Tiexi" al TFF.  Sabato 4 ottobre torna nel capoluogo sabaudo per tenere al Cinema Massimo una masterclass, seguita dalla proiezione del suo film "Youth (Spring)". 

Un tema quello del lavoro che è sempre stato presente nella sua opera, sempre attuale in una Cina in cui i diritti contano ancora troppo poco. Se ci fosse un movimento tra gli operai, continuerebbe su questo genere? 
 "Se ci fosse un movimento di lavoratori sicuramente continuerei a fare dei film su questo tema. Come nella maggior parte dei miei film documentari il tema è la vita quotidiana delle persone comuni. Nel mio film si tratta di operatori dei laboratori tessili, ma ce ne sono tante altre che fanno lavori fisici, come nel settore edile, dove la condizione di lavoro è molto precaria. In Cina esiste un gruppo di persone che noi chiamiamo 'operai e contadini', sono persone che in origine lavorano in campagna e si sono poi spostate verso le grandi città, diventando operai. È gruppo molto grande, lavorano in tutti i settori e quando ho iniziato a girare il film non avevo tante possibilità di scegliere su che tipo di settore concentrarmi, ho scelto loro, ma non aprono a tutti i registi, non si può girare liberamente."

I suoi film sono diffusi in Europa, ma come sono percepiti nel suo Paese? 
"Prima di Youth, i miei film raramente potevano essere proiettati nei cinema, giravano un po’ sottobanco, poi presso qualche ente artistico, venivano fatti girare dei dvd pirata oppure online. Quando poi è uscito Youth la situazione è diventata più complicata. In rete tutte le informazioni su di me sono state cancellate o pulite, ma un po’ di tempo fa a Shangai sono state riprese le proiezioni della mia trilogia, tutte e tre le parti. Qualche proiezione quindi si fa".

Da quando ha iniziato sono passati anni, è cambiato qualcosa nel frattempo?
"Questi laboratori ci sono ancora oggi e i loro affari sono rimasti come nel passato. Dopo il Covid, in tanti hanno lasciato il posto dove abbiamo ambientato il film, ma li abbiamo incontrati a casa loro, alcuni hanno messo su dei loro laboratori di tessile. Poi tanti settori in cui c’è manodopera sono cambiati in Cina, come nell'edilizia, ma generalmente oggi c’è situazione di disoccupazione molto seria. Tanta gente non trova lavoro, questo fenomeno è più evidente nelle città di media dimensione".

Lei propone dei film dalla durata considerevole, ma oggi viviamo in un mondo che va veloce, ha qualche influenza sul suo lavoro? 
"Oggi  ci sono tanti blog e video che girano sui social, tante persone che lavorano in questi nuovi media e che stanno sostituendo i media tradizionali. La gente oggi non ha bisogno di guardare la tv per avere informazioni, ma non sono contrario a chi lavora con questi nuovi media, anzi trovo che sia libertà di espressione personale. La gente può avere più canali di informazione. Per quanto riguarda me, mi trovo meglio rispetto ad avere le informazioni controllate da un unico ente autoritario, meglio la circolazione libera. Ma sia chiaro che c’è anche bisogno di un altro ritmo: il mio lavoro è lento e lungo, perché il mondo non può essere sempre veloce, deve essere equilibrato. C'è chi va veloce e chi va lento, la gente ha bisogno di vedere il mondo anche attraverso il mio lavoro che è maturato col tempo".

Come gestisce i rapporti con le persone che incontra e la mole di lavoro dopo anni di riprese? 
"Proprio grazie a questo lungo percorso di ripresa tra me e i lavoratori si è costruita una fiducia. Grazie a questa fiducia poi siamo diventati anche amici. Durante tutto il lavoro di questo documentario ho sempre avuto tanta pressione, anche preoccupazione, perché ho sempre avuto il dubbio di riuscire a finire questo film. Quindi abbiamo sempre lavorato sodo, senza sosta. Durante le riprese ci sono momenti di gioia e di difficoltà, oltre le pressioni fisiche ed economiche. Per editing e montaggio, alla fine del lavoro avevamo 2600 ore di materiali davanti e dovevamo decidere cosa tenere. Solo dopo il montaggio della parte uno, abbiamo realizzato che dovevamo dividere questi materiali in tre parti".

Cosa ne pensa del cinema italiano dedicato al lavoro? 
"Sul cinema italiano a tema lavoro non ho prestato attenzione, ma ricordo però di qualche scena dei pescatori che lavorano al mare nei film di Rossellin. In Italia ogni regista ha un suo modo di fare cinema che è molto interessante".

Chiara Gallo

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