Una mansarda-rifugio completamente oscurata, dove dare forma alla propria arte ogni giorni senza lasciarsi distrarre dalla bellezza quasi geometrica delle colline torinesi fuori dalle finestre. Un agglomerato denso ma mai disordinato di memorabilia che raccontano una vita intera, tra quelle stanze chiamate grossolanamente “magazzino” e di cui oggi si scopre l’altissimo profilo di bene culturale. Apre ufficialmente al pubblico la Casa Studio di Carol Rama, in via Napione 15, dove la pittrice visse per ben settant’anni, prima di spegnersi nel 2015. A partire dal 5 novembre, l’appartamento sarà visitabile su prenotazione e in gruppi di quattro persone al massimo il martedì e il giovedì alle 15, alle 16.30 e alle 18 (al costo di 40 euro, ridotto a 20 per gli studenti); previsti anche due sabati al mese non consecutivi alle ore 10, 11.30, 15, 16.30 e 18.
L’apertura giunge al termine di lungo iter. Il contenuto della Casa Studio, vincolato dalla Soprintendenza come studio d’artista, è stato infatti rilevato nel 2019 dalla Fondazione Sardi per l’arte, che l’ha acquistato dagli eredi dell’artista per cederlo quindi in comodato all’Archivio Carol Rama, impegnato dal 2020 nella valorizzazione della sua opera e nelle tutela dell’immagine a patrimonio. “Questo bene – ha commentato il presidente dell’Archivio Michele Carpano – si configura come un vero omaggio a Carol e, nello stesso tempo, incrementa l’offerta culturale della città di Torino per un pubblico nazionale e internazionale”. “Sicuramente uno dei momenti di maggior impegno per la nostra Fondazione – ha aggiunto Pinuccia Sardi –. In questo sforzo è confluito tutto il mio interesse per la pittrice, sorto negli anni Settanta. Confido che l’apertura al pubblico promuova ulteriormente la conoscenza e la ricerca sulla sua opera”.
Visitando la singolare Casa Studio, sono gli oggetti stessi sparsi nelle varie stanze a parlare, raccontando frammenti di vita di Carol Rama a partire dalle origini familiari: come i tanti calchi di piedi e miniature di scarpe, una vera passione ereditata dallo zio produttore di calzature ortopediche; o le opere realizzate con le camere d’aria da una certa fase in poi, retaggio dell’attività aziendale del padre. Pittrice fin dall’adolescenza, ma senza alcuna formazione accademica, Carol viene sempre sostenuta da diverse – ma non moltissime – amicizie intellettuali, prima fra tutti quella con Felice Casorati (e della moglie, Daphne Maugham, Carol ha conservato un ritratto nella sua stanza da letto). Le foto appese alle pareti, in accumulo, ritraggono i momenti salienti della sua lunga esistenza, da sempre noncurante dei moralisti e dei benpensanti, ma proiettata continuamente verso la sperimentazione. Ecco allora apparire accanto a lei il poeta Edoardo Sanguineti – che ha scritto pagine memorabili sui bricolage dell’amica -, il musicologo torinese Massimo Mila, l’architetto Carlo Mollino, il critico Paolo Fossati, il collezionista Carlo Monzino, e ancora Corrado Levi, Guido Accornero, Eugenio Montale e Pier Paolo Pasolin. Senza dimenticare la mediazione cruciale del gallerista Luciano Anselmino, che la mette in contatto, a inizio anni settanta, con Andy Warhol e Man Ray, con cui avvierà un intenso rapporto di scambio e confronto. Spicca, su un tavolino per la toeletta, la variegata collezioni di profumi di cui Carol amava inebriarsi tutti i giorni; su un altro, il Leone d’Oro alla carriera ricevuto a Venezia nel 2003. E ovunque sono rimasti, esattamente così come lei li aveva lasciati, i suoi preziosi materiali di lavoro. “La pittura, per me – scriveva Carol Rama –, è sempre stata una cosa che mi permetteva poi di sentirmi meno infelice, meno povera, meno bruttina, e anche meno ignorante… Dipingo per guarirmi”.
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