L’apertura dell’Università di Torino nei confronti del territorio e delle aziende si concretizza attraverso la ricerca. L’intenzione è quella di muoversi in questa direzione grazie ad accordi come quello firmato stamattina, 30 gennaio, con il gruppo SMAT. “Il fine – ha esordito il Rettore, Gianmaria Ajani – è quello di mettere a disposizione le nostre capacità di ricerca per un fine applicativo”.
L’accordo con SMAT regolerà una collaborazione tecnico-scientifica, includendo anche un programma di formazione per gli studenti. L’azienda torinese per le acque sta investendo nella ricerca circa 3 milioni di euro all’anno, nei quali saranno inclusi anche i progetti avviati con l’Università di Torino.
“In totale – ha precisato Paolo Romano, amministratore delegato di SMAT – promuoviamo fra i 30 e i 40 progetti di ricerca all’anno, dando priorità a quelli con efficacia economico-finanziaria più alta. Non ci fermiamo al Piemonte, collaboriamo anche con la NASA: l’acqua inviata nelle stazioni spaziali è prodotta da noi”. E l’ad, per l’occasione, ha portato due boccette con il prezioso liquido, una prodotta per gli americani e una per i russi (hanno standard diversi), che ha regalato al Rettore.
Due progetti in particolare, finanziati con 60.000 euro ciascuno, sono stati in questo momento promossi da SMAT con l’Università. “Ci concentriamo – ha spiegato Lorenza Meucci, direttrice del Centro di ricerca SMAT – su salute e ambiente, ma anche sul riutilizzo delle materie prime. I due progetti che seguiamo ora, insieme all’Università di Torino, sono davvero innovativi”.
Il primo riguarda la purificazione dell’acqua. Il professor Silvio Aime, ordinario di Chimica generale e inorganica presso l’Università di Torino, ha spiegato un concetto che lui stesso ha definito “visionario”: la possibilità di ripulire l’acqua attraverso un processo inedito.
“L’acqua – ha raccontato il professore – quando si solidifica dispone le proprie molecole in maniera tale da escludere le molecole delle altre sostanze, che si spostano verso l’alto. L’idea è quella di avere uno strato d’acqua spesso qualche centinaio di micron su una superficie dotata di cariche elettriche. Queste cariche disporrebbero le molecole d’acqua in un ordine preciso, come accade quando si solidifica, che farà salire verso l’alto le impurità. A quel punto, basterà raccogliere le molecole estranee eliminando lo strato superiore”. Un concetto semplice sulla carta, che però richiederà un lungo studio. Così, però, si potrebbe avere acqua pura al 100%.
Il secondo progetto riguarda invece la prevenzione ed è seguito dalla professoressa Mariella Bruzzoniti, docente presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino. “Nell’acqua esistono sostanze – ha chiarito – che non sono ancora state normate ma che possono essere nocive. Sono, peraltro, già state individuate dalla comunità europea”. Si tratta di acidi aloacetici, derivati dal processo di disinfezione dell’acqua, già regolamentati negli Stati Uniti.
Il progetto però vuole anche migliorare i processi di disinfezione dell’acqua. “Vogliamo – ha aggiunto Bruzzoniti – valorizzare gli scarti delle biomasse e ottenere biocarbone, che può sostituirsi ai carboni attivi nei processi di gestione del ciclo delle acque”.
In generale, l’idea è quella di proporre ricerche con ricadute sul territorio. “Dove c’è una università di qualità – ha precisato Ajani – si vive meglio. Se gli Atenei lavorano con le imprese, e naturalmente con l’amministrazione, allora c’è una ricaduta anche economica”.
Intanto, i finanziamenti, oltre a produrre risultati scientifici, serviranno ad assumere ricercatori. Il fine è anche quello di migliorare la qualità della ricerca,partecipando a progetti internazionali. Ma la cooperazione tra Università e SMAT si occuperà anche di divulgazione.