Chiedono maggiore rispetto per il proprio lavoro, chiedono tutele e provvedimenti contro la quasi obbligata fuga di cervelli e mani abili all'estero. È una riforma delle Fondazione Liriche, l'oggetto della petizione esposta al Teatro Regio da Cgil, Fistel Cisl, Uilcom e Fials – tutti sindacati che riuniscono i lavoratori nello spettecolo – nel corso della presentazione della stagione lirica 2017/18. Un nuovo passo avanti, dopo l'occupazione simbolica dell'ufficio del sovrintentente Walter Vergnano, avvenuta venerdì scorso, con tanto di concerto in abiti borghesi.
A fronte di una crescente e preoccupante riduzione di risorse, gli artisti aspirano infatti alla garanzia di contributi pluriennali basati sul coordinamento tra risorse nazionali e locali. Questo perché gli effetti dell'articolo 24 della legge 160/2016, in merito alle misure urgenti per il patrimonio e le attività culturali, suscitano non pochi allarmismi. È infatti previsto dal testo normativo che i teatri possono essere declassati, perdendo così il contributo statale; per contro, l'articolo 9 della Costituzione afferma che l'Italia incoraggia lo sviluppo della cultura e del patrimonio artistico. Una contraddizione di cui non si viene a capo.
“Molti artisti stanno andando all'estero”, spiega Pierluigi Filagna del sindacato provinciale Fials, cornista dell'orchestra del Teatro Regio. “Vogliamo una riforma del settore che ci tuteli. Le Fondazioni Liriche da tempo attraversano una crisi debitoria. Non possiamo continuamente dipendere dall'equilibrio del bilancio. Se non si raggiungono i requisiti previsti, sono come sempre gli artisti a pagarne le spese, con interventi drastici come la riduzione degli stipendi e dei lavori assegnati, il contratto di solidarietà o la cassa integrazione. Se un musicista non lavora per tre o quattro mesi, come fa a rendere, quando riprende a suonare?”.
In base a quanto si evince dal comunicato dei sindacati congiunti, i provvedimenti emanati dal governo si sono spinti finora verso il taglio del costo del lavoro. Ma questo intervento così invasivo non ha permesso di ridurre i debiti, anzi: la chiusura di diversi corpi di ballo è la prova lampante della direzione opposta presa dal corso degli eventi.
“Senza il contributo statale viene meno la possibilità di produrre spettacoli qualitativamente elevati”, prosegue Filagna. “Mancheranno i grandi artisti sui palcoscenici, e tutti i giovani uscenti dai conservatori, dalle scuole di danza e dalle accademie di belle arti avranno il futuro pesantemente compromesso”. Un'amara considerazione sul ruolo marginale troppo spesso assunto dagli operatori dello spettacolo nel sistema del lavoro in Italia, che comporta inevitabilmente la scelta, per molti, di cercare fortuna al di fuori dei confini nazionali, o addirittura oltreoceano.
Si chiede, in definitiva, una revisione accurata delle norme di legge che garantiscano risorse pubbliche ai teatri. Perchè l'Italia continui a essere il Paese del bel canto.