Bill Nicholson, icona dei Tottenham Hotspurs, soleva dire che “è meglio fallire mirando in alto, che aver successo mirando in basso”.
Fedeli a questa ambiziosa massima, abbiamo deciso di puntare in alto ed abbiamo organizzato una mostra, inauguratasi domenica 8 aprile e aperta fino al 6 maggio, dedicata ad una leggenda del calcio moderno: Javier Zanetti. E se ad andare a caccia a fagiani, se sbagli al massimo il fagiano vola via, se vai a caccia di leoni e sbagli, finisci sbranato dal potente felino. Così, con un minimo di timore reverenziale per l’importanza del personaggio, ci siamo accostati all’impresa.
Giampaolo Muliari, direttore del Museo e deus ex machina della mostra, ha avvicinato Federico Enrichetti, amicissimo di Javier e collezionista di primissimo livello di cimeli nerazzurri, che è stato determinante, col suo prezioso aiuto, a dare alla mostra un tono di livello decisamente superiore. Ma ad illuminare la giornata, ci ha pensato lui.
Siamo tristemente ormai abituati a superstar strapagate e viziate, cui chiedi in ginocchio di presentarsi ad un orario, ma sai già che arriveranno, lemme lemme, mezz’ora dopo come minimo. Zanetti, dopo averci garantito che alle dieci in punto si sarebbe presentato al Museo, alle nove e quarantacinque, ovvero con quindici minuti di anticipo, ha varcato il cancello della sontuosa Villa Claretta, messa a disposizione della nostra associazione dalla Città di Grugliasco, e sede del Museo. Tutti a bocca spalancata e calcio d’inizio della giornata presi in piacevole contropiede da questa puntualità.
La sua disponibilità e gentilezza sono state pari solo alla sua semplicità nell’accostarsi al pubblico, soprattutto nerazzurro, che era assiepato nel parco del Museo, in trepidante attesa del suo arrivo, quasi adorante del Capitano per antonomasia degli ultimi vent’anni. E lui li ha ripagati appieno. Ha voluto visitare brevemente il museo, specialmente le due sale dove sono custodite la sua maglia e la sua fascia da capitano con impressi i nomi dei ventidue giocatori che si affrontarono sul prato di San Siro il 30 aprile 1949, il giorno prima della partenza del Toro per Lisbona.
Ha commentato con competenza quel che vedeva, dimostrando di avere una conoscenza e soprattutto una sensibilità verso la storia granata, ben maggiori di quanto abbiano alcuni soggetti che, a vari livelli, indossano la divisa granata, sul campo come negli uffici. Ha speso parole profonde nel ricordo del Grande Torino, di cui in Sud America ancor oggi si conserva una memoria collettiva veramente notevole. Insomma, è stato squisito a tutto tondo, dimostrando che quella classe che lo ha contraddistinto in campo, lo ha seguito anche fuori, facendo di lui un dirigente e un simbolo di prima levatura, un biglietto da visita per la sua squadra e la sua dirigenza, che poche altre società possono vantare.
Ha messo tutti quanti a proprio agio, e reso ancora più facile, anche se non ce n’era bisogno, il compito della splendida Silvia Vada, cara amica che ha accettato la mia richiesta a condurre la giornata.
E anche Roberto Montà, Sindaco grugliaschese, bianconero di provata fede, non ha voluto mancare l’occasione di omaggiare un’avversario sportivo di tale levatura. Che altro si può dire? Nulla, se non Grazie. Grazie per quello che ha dato al calcio, non solo all’Inter, durante la sua luminosa carriera di professionista impeccabile, di grande campione e di uomo vero. Grazie di continuare ad essere un ambasciatore nel mondo non solo dei suoi colori, ma di un calcio che può ancora esistere, malgrado tutto.
Il Museo ha ricevuto da Zanetti un regalo immenso e l’ha condiviso con tutti quelli che hanno voluto esserci. Rendergli omaggio è stato un piacere immenso e, se e quando lo vorrà, accoglierlo ancora presso le nostre sale, sarà un onore. Javier sarà sempre un esempio per tutti i giovani che si accostano al calcio, come disciplina sportiva ma soprattutto come scuola di vita.