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Attualità | 10 maggio 2018, 16:32

Sindacato e imprenditori: la manifattura resti al centro del nostro territorio

Durante l'ultima puntata di Backstage la presidente di Confindustria Giovani, il presidente di Confartigianato Piemonte, il segretario cittadino della Cisl e l'assessore a lavoro della Regione si sono confrontati su passato e presente. Con una raccomandazione per il futuro

Sindacato e imprenditori: la manifattura resti al centro del nostro territorio

Torino orfana della grande fabbrica” è ancora appetibile come area in cui investire? Il numero di  multinazionali, una cinquantina , che dal 2008 ad oggi se ne sono andate farebbe pensare di no. Erano in gran parte collegate all'automotive per cui l'allontanamento di “mamma Fiat” ha certamente avuto il suo peso nella decisione di smantellare gli stabilimenti così come ha avuto conseguenze importanti per l'indotto.

D'altra parte inutile giraci intorno, carta canta o meglio, a cantarla chiara, sono le cifre: nel 2000 l'Italia produceva 1 milione 700mila auto (la gran parte  a Torino) , la Germania 5 milioni 500mila, la Spagna 3 milioni. Nel 2013 l'Italia produce 390mila auto, la Germania 5 milioni 650mila, la Spagna 2 milioni 163mila. E pur vero che nel 2016 la produzione in Italia risale fino a 721mila auto ma di queste solo circa 70.000 sono prodotte a Torino, tra Mirafiori e Grugliasco.

A questo punto la domanda sorge, come si dice, spontanea: se una realtà come la Fabbrica Italiana Automobili Torino , così fortemente radicata sul territorio, da cui ha tratto forza lavoro restituendo  professionalità di alto livello, se n'è andata, perchè non dovrebbero farlo altre multinazionali? O, d'altra parte,  perchè una grande azienda dovrebbe essere motivata ad insediarsi qui?

E' la domanda da cui è partita la scorsa puntata di Backstage, il format di Torino Oggi in diretta online alle 21 tutti i lunedì. Hanno provato a dare una risposta il mondo del lavoro e il mondo datoriale, rappresentati dall'assessore al lavoro della Regione Piemonte, Gianna Pentenero, il segretario generale della Cisl Torino-Canavese, Domenico Lo Bianco, la presidente dei Giovani Imprenditori  di Confindustria, Giorgia Garola e il presidente di Confartigianato Piemonte, Giorgio Felici.

Si comincia dall'occupazione. L'assessore Pentenero sottolinea come negli ultimi tre anni ci sia stato un andamento altalenante: tavoli di crisi che aumentano e disoccupazione che, pur lievemente, è in calo: quella giovanile era arrivata al 50% nel 2105, ora il dato regionale, complice la buona performance dell'area cuneese che migliora la media, siamo intorno al 36% ( in provincia di Torino  siamo però  sul 40%).

“La verità è che a Torino manca una visione di quali siano le filiere nelle quali investire, commenta il segretario della Cisl Lo Bianco, bisognerebbe  creare un'alleanza tra tutti i soggetti per ridisegnare un nuovo progetto per Torino”.

“Il caso Fiat ha avuto un significato enorme per Torino, dice Felici senza mezzi termini, solo qui c'erano 5000 aziende artigiane che lavoravano nell'indotto e  nell'indotto i posti di lavoro persi sono di  difficile calcolo. Se fossimo in una situazione normale si creerebbe un tessuto di piccole aziende che in qualche modo andrebbe a  sostituire quelle perse. Ma non sarà così, continua Felici, perchè siamo in una situazione in cui manca la stabilità, non c'è certezza del diritto e ci sono un sacco di rogne quando apri un'attività. Le multinazionali? In realtà solo un pazzo verrebbe ad investire qui. E poi c'è la questione fiscale ma anche il cuneo fiscale: gli italiani hanno perso la capacità di acquisto, spendono sempre meno, il chè si ripercuote sulla domanda interna  e sul Pil che da essa è costituito all'80%: se mortifico l'80% del Pil la mia nazione frana. Dovremmo fare come gli altri paesi che riescono a fare una programmazione economica autonoma. Noi invece viviamo il globalismo a corrente alternata, subiamo tutto il peggio senza riuscire ad approfittare dei vantaggi”.

Ma dietro al processo di deindustrializzazione c'è anche altro, c'è la questione culturale. Perchè si parla tanto di turismo a Torino e così poco di industria? Lo spiega chiaramente Giorgia Garola, imprenditrice del settore metalmeccanico: “Non è “fashion” parlare di fabbriche. Io invece difendo la manifattura, soprattutto quella della Pmi. Mi preoccupano le multinazionali che se ne vanno ma mi preoccupano moltissimo le Pmi che stanno lottando e, come dimostrano i dati del 2017, sono cresciute. Certo, hanno dovuto esportare. Ora il problema è l'instabilità politica mondiale, oltre alla nostra. I dati positivi sulle aziende non si ripercuotono sull'occupazione? E' anche vero che c'è un gap tra ciò che i giovani vogliono fare e le reali possibilità offerte dal mondo del lavoro. Ora sono tutti alla ricerca del lavoro sul web dimenticando che in questo momento le opportunità vengono dal  manifatturiero.

E poi c'è, ovviamente, la questione del costo del lavoro. Che in Slovacchia, per esempio,  è inferiore  a quello italiano. Discorso che regge solo in parte: come si spiega l'alto grado di industrializzazione della Germania, in cui notoriamente il costo del lavoro non è a livelli “cinesi”  e che continua a produrre, auto per esempio, sul proprio territorio? Lo Bianco amplia il discorso: “La  Germania ha elaborato un piano  per cui nei prossimi anni investirà miliardi per rilanciare il ruolo dello Stato sociale, puntando su fisco, famiglia e lavoro nei prossimi 4 anni. Questo è un programma Se non ci sono investimenti, pubblici e privati, scandisce il segretario della Cisl, non c'è futuro”.

E quindi come si protegge il nostro tessuto industriale? Con i dazi? “No, non sono i dazi che ci difendono, io credo nel libero mercato, semmai cerchiamo di agire sul cuneo fiscale”, afferma con sicurezza Garola. Felici puntualizza però il discorso: “ Va bene ma le regole devono essere uguali per tutti. Ad esempio gli aiuti di Stato: sono d'accordo che debbono essere vietati ma i tedeschi vi ricorrono regolarmente. E poi, aggiunge rivolto a Lo Bianco, il piano di sviluppo della Germania in prospettiva è pagato dai nostro soldi : noi cambiammo l'euro a 1936,27 lire, loro a 990. Quindi noi per i prossimi vent'anni pagheremo tutto il loro stato sociale.” L'obiezione porta a conclusioni opposte l'assessore Pentenero: “E infatti stare in Europa significa avere più strumenti per governare la globalizzazione che non può che essere governata in una dinamica  federalista. Se non entriamo in questa logica non possiamo pensare di dare un futuro a questo Paese”.

In definitiva  per il nostro territorio resta prioritaria la vocazione manifatturiera? “Non c'è dubbio, dice lo Bianco, anche perchè è stato dimostrato dai fatti, i dati sull'occupazione, che il terziario non riesce a compensare questo settore”. 

E qui sono tutti d'accordo: la manifattura al centro. Ma tutti d'accordo anche sul fatto che il momento non è semplice: compito della politica ora progettare il futuro. Con un'avvertenza: una nuova recessione non sarebbe più sopportabile dal sistema. Del nostro territorio e del nostro Paese.

Patrizia Corgnati

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