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Centro | 15 settembre 2018, 07:00

La storia della Dama Velata: la principessa russa che cerca ancora il suo amore perduto tra le ombre di Torino

Osservando gli edifici dalle linee pulite ed eleganti, lei si ritrovò a pensare a quando lui l’aveva chiesta in sposa.

La storia della Dama Velata: la principessa russa che cerca ancora il suo amore perduto tra le ombre di Torino

Era stato un viaggio lungo, da San Pietroburgo fino a Torino. Lui, Aleksandr Michajlovič Beloselskij, sonnecchiava cullato dal dondolio della carrozza. Lei, Barbara Jakovlevna Tatisjtjeva, invece lasciava che gli occhi le si riempissero delle bellezze della nuova città.

Osservando gli edifici dalle linee pulite ed eleganti, lei si ritrovò a pensare a quando lui l’aveva chiesta in sposa. Ormai quasi sei anni prima, si era inginocchiato ai suoi piedi, le aveva baciato le mani candide e le aveva giurato "Ti farò vedere il mondo, uscire da questo palazzo per conoscere mille altri luoghi". Lei si era emozionata a quelle parole. Lui la conosceva. Lui sapeva quanto soffrisse una vita priva di libertà e curiosità, chiusa nella ricca dimora di famiglia con l’unica possibilità di farsi raccontare dagli altri cosa succedesse davvero nel mondo.

Aveva accettato quella proposta con slancio e, con altrettanto slancio, aveva preso a seguire il proprio amato nei diversi viaggi di lavoro. Con occhi rapiti conosceva ogni angolo della grande Russia e con occhi innamorati guardava la sua famiglia crescere. Prima la piccola Anna e poi Andrey, l'orgoglio di papà.

Quello che avevano appena compiuto fino a Torino era l'ennesimo viaggio ma più emozionante degli altri. Mai si erano spinti così lontano e mai suo marito aveva occupato un ruolo tanto prestigioso: ambasciatore russo, per conto dell’Imperatrice Caterina, nel Regno Sabaudo.

 

Un piccolo dosso lungo la strada destò lei dai suoi pensieri e il marito dal suo sonno. "Buongiorno mia cara", le disse stregato come sempre dalla sua bellezza, dalla pelle di ceramica, dalle lunghe ciglia e da quelle labbra perfette.

"Buongiorno a te amore mio".

"Cosa ne dici di Torino?" le chiese chinandosi per baciarle la mano.

"Mi pare splendida, un posto dove potrei restare per sempre.”

 

E da quel giorno Barbara scoprì la dolcezza del cioccolato sabaudo e la bellezza dei parchi dove, con l’arrivo dell’autunno, gli alberi si tingevano d’oro. I giorni passavano e la sua famiglia si adattava alla nuova vita.  I giorni passavano e l'amore tra lei e il marito continuava a crescere. E a crescere, a pochi mesi dal loro arrivo nella città piemontese, fu anche il ventre che lei, gelosa, nascondeva agli occhi di tutti sotto eleganti drappeggi e preziosi scialli. Solo quando fu completamente certa della sua condizione annunciò al marito l'arrivo del nuovo bambino. "Il torinese" lo chiamavano scherzando tra di loro, quando sognavano il suo futuro o, semplicemente, decidevano con quale carta da parati decorare la sua stanzetta.

 

Sembrava che nulla potesse mettere in pericolo un tale idillio ma un mattino Barbara ebbe un capogiro e poi una forte fitta al ventre. Pochi minuti dopo le cameriere la trovarono a terra priva di sensi. Il dottore corse al suo capezzale e fu stupito dalla forza della donna che, seppur in quelle condizioni, riuscì a mettere al mondo il suo terzo figlio.

 

Il bambino era sano ma da quel giaciglio lei non si alzò più. Per sette giorni e sette notti il marito le fu accanto sussurrandole parole d’amore e poesie che le aveva dedicato nel corso degli anni. Lei, sospesa in un sonno senza fine, sentiva la sua voce sempre più lontana fino a che un giorno non la udì più. Dov’era finito il suo amore? Perché non le stava più accanto?

 

Il respiro di Barbara s’interruppe. La sua famiglia la pianse e il marito fece costruire un monumento funerario meraviglioso. Una donna dal volto velato, la cui indicibile bellezza veniva celata al mondo. E sulla lapide fece incidere le ultime di mille parole d’amore.

 

“Oh, sentimento! Sentimento!

Dolce vita dell’anima.

Quale cuore non hai mai colpito?

Qual è lo sfortunato mortale a cui non hai offerto

il dolce piacer di versar lacrime?

E qual è l’anima crudele

che, di fronte a questo monumento così semplice e pietoso,

non si raccolga con malinconia

e non perdoni generosamente

i difetti dello sposo che l’ha innalzato?”

 

Lei, ormai fatta di solo spirito, non si rese conto di non far più parte del regno dei vivi, e prese a vagare per Torino in cerca del suo amore.

 

La povera Barbara, strappata alla vita in piena gioventù, a distanza di secoli, si aggira ancora tra le ombre di Torino, lungo il fiume Po, cercando suo marito e i suoi bambini. Gli uomini prima ne rimangono affascinati ma poi fuggono spaventati vedendola scomparire nel nulla come fumo.

 

La principessa russa che voleva vedere il mondo rifiuta il fatto di non farne più parte e, a passi lievi, percorre per sempre strade che ormai non le appartengono.

Nel caso doveste incontrarla non abbiate paura di lei, non vi farà male alcuno, è una donna che ha tanto amato e che ama ancora.

 

Questo racconto è liberamente ispirato alla vita e alla morte di Barbara Jakovlevna Tatisjtjeva, principessa russa, moglie dell’ambasciatore a Torino, venuta a mancare nel 1792. La statua di Innocenzo Spinazzi, commissionata per ornare la sua tomba, ebbe una storia travagliata, passando dal cimitero di San Lazzaro, chiuso nel 1866, a quello di San Pietro in Vincoli, dismesso anch’esso nel 1884. Le spoglie della defunta sono andate perdute ma la statua, dopo un periodo di tempo trascorso nel magazzino sotterraneo della Mole Antonelliana, da qualche anno può essere nuovamente ammirata presso la GAM di Torino.

 

Photo credits: Sailko.

Rossana Rotolo

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