Studenti stranieri, a volte rifugiati. Per loro, il problema, oltre ai normali ostacoli legati alle lezioni e agli esami, è spesso connesso alla carenza di documentazione legata ai percorsi pregressi e i titoli già conseguiti per poter procedere nel cammino universitario. Siano essi diplomi o lauree triennali.
Parte così da Torino l'iniziativa EQPR, passaporto europeo per le qualifiche dei rifugiati, che vede l'Università degli Studi appoggiare l'attività di Cimea, il Centro italiano di informazione sulla mobilità e le equivalenze accademiche, su impulso del Consiglio d'Europa.
Il progetto punta proprio a codificare una metodologia di valutazione delle qualifiche di chi è titolare di protezione internazionale se con scarsa documentazione o addirittura in assenza. "Una metodologia rigorosa - garantisce Chiara Finocchietti, vice direttrice del Cimea - e che dopo una fase di test viene ora implementata su 36 casi che arrivano da decine di percorsi diversi".
Nell'anno accademico 2017/2018 gli studenti internazionali sono 1372, in aumento del 38%. Di questi, 46 sono rifugiati, pari al 3%. A loro potrebbero appunto aggiungersi i 36 che saranno analizzati in questi giorni.
Tra i Paesi con cui si ha a che fare nel nostro territorio, le zone più complesse da analizzare sono Siria e Africa francofona. Sono tuttavia ristretti a un 5% i casi in cui non si è riusciti ad avere certezza e dunque non è stato rilasciato alcun passaporto. In particolare, 11 degli studenti rifugiati iscritti a UniTo arrivano dal Pakistan, 7 da Siria e Nigeria, 4 dal Mali e altri da Iran, Ucraina, Palestina, Gambia, Guinea, Libia, Somalia, Iraq.
"Si comincia con un questionario dettagliato che il candidato deve completare sul suo percorso di studi - spiega Finocchietti - comprendenti libri di testo e nomi dei docenti e tema della tesi. Poi l'intervista diventa diretta, di persona, per verificare se le affermazioni corrispondono al vero".
Una volta ottenuto, il Passaporto Europeo delle Qualifiche dei rifugiati non ha però tuttavia valore legale, riguarda i titoli accademici e non quelli professionali. "Ma il fine principale è proprio l'accesso a un ulteriore percorso formativo". Mentre in altri Paesi come l'Olanda l'approccio è più finalizzato alla ricerca di lavoro. Ma lo strumento in sé è riconosciuto in ogni Paese che aderisce al circuito su cui insiste Cimea.
Un documento rilasciato in Grecia, in un caso, è stato infatti riconosciuto in Norvegia.