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Cultura e spettacoli | 19 novembre 2018, 08:00

La mafia raccontata in graphic novel: a Torino l’arte di Renna e l’informazione carente

Il vignettista ha presentato al liceo Cottini la sua ultima opera, “Un giudice ragazzino”, ispirata alla figura di Rosario Livatino, ucciso nel 1990

La mafia raccontata in graphic novel: a Torino l’arte di Renna e l’informazione carente

Rosario Livatino è morto ammazzato per cattiva informazione. Ora la creatività di un’opera di fantasia, ma storicamente ispirata, può restituire al pubblico i pezzi mancanti di una conoscenza mutilata e insanguinata. È ciò che si propone di fare l’illustratore e scrittore Salvatore Renna col suo ultimo libro, “Un giudice ragazzino”, appropriandosi di quella definizione usata dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga per indicare in senso dispregiativo i magistrati giovani del tempo. La graphic novel è stata presentata lo scorso 12 novembre agli studenti del Liceo artistico “Renato Cottini” di Torino, proseguendo (dopo Giovanni Costanza, autista di Falcone, e Salvatore Borsellino) la scia degli incontri con personaggi di spicco dell’antimafia, avviata in collaborazione con l’associazione “Agende Rosse”.

Correva il giorno 21 settembre 1990, quando dei sicari della Stidda – organizzazione criminale contrapposta a Cosa Nostra – seguirono la vecchia Ford Fiesta su cui viaggiava Livatino, come ogni giorno, per recarsi in tribunale. Venne speronato e poi inseguito attraverso i campi. Uno dei killer, Giuseppe Puzzangaro, avrebbe poi dichiarato: “io non sapevo nemmeno chi fosse”.

Credo che Rosario sia stato ammazzato da una sorta di banalità del male – ha spiegato Renna –, una mancata informazione da parte dei personaggi coinvolti nella vicenda. È stato vittima dell’ignoranza su cui fa leva da sempre il fenomeno mafioso”. E provocatoriamente eccolo rivolgere ai ragazzi la domanda: “quanti di voi leggono i giornali? Sul web o cartacei?”. Una stoccata allo sporco mestiere del giornalista, vittima e carnefice di uno Stato che ancora deve lavarsi le mani di tutta la lordura accumulata, dove il quarto potere della stampa paradossalmente viene sminuito mentre si incrementa la sua risonanza in termini di “fake news”, faziosità e corruzione.

Sulla stele dedicata a Livatino viene riportato il termine ‘martire’ della giustizia”, ha detto Renna. “Io sono partito da qui per scrivere il mio libro. Credo che nessuno debba morire di giustizia, è un controsenso. Ma tutti abbiamo il dovere di essere ben informati, altrimenti si rischia di inciampare in notizie fuorvianti, dettate dalla pari sensibilità di chi scrive e chi legge”.

Una presenza, quella della criminalità organizzata, che Renna ha avuto modo di toccare con mano, crescendo a Gravina, in provincia di Bari, quando andava a scuola e giocava ogni giorno con i figli dei boss locali. E non a caso il romanzo vede protagonisti dei ragazzi di una scuola media di Canicattì, che attivano nel proprio microcosmo una piccola lotta contro il male: “la mafia non è solo quel fenomeno di grandi dimensioni che ci viene indotto dai canali mediatici, ma si ritrova anche nella quotidianità”, racconta Renna parlando della genesi dell’opera. Tutto si basa sul dialogo tra un padre e suo figlio, solcando la scia di quel racconto del reale “distorto” in chiave favolistica inaugurato da “La vita è bella” di Benigni. Ciò che compie il piccolo Rosario, il protagonista, è un vero e proprio cammino di formazione, toccando, passo dopo passo, il significato profondo del concetto di giustizia. Finché lui stesso non diventa a sua volta giudice, terminando il cerchio con un ritorno al punto di partenza, il “martirio” di un giudice ucciso giovanissimo e passato in sordina rispetto ad altre vittime.

Io non penso che il mondo abbia bisogno della mia arte per liberarsi dai problemi – dice Renna -, ma la ritengo comunque una mia abilità, congenita e poi smussata nel tempo. Non è solo esibizione di estetismo, spero si possa trarne utilità nei termini di un messaggio diffuso”.

La scoperta del fenomeno mafioso proseguirà al Cottini nei prossimi mesi. È infatti intenzione del dirigente Antonio Balestra e del docente di Lettere Franco Plataroti rendere l’istituto un vero e proprio “presidio” delle Agende Rosse, attivando un percorso didattico dedicato a chi non ha mai smesso di combattere la criminalità organizzata.

Manuela Marascio

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