Se l’uomo è condannato a scontare per l’eternità il distacco dal paradiso terrestre e la caduta in un mondo di fatiche, sicuramente il suo inquieto vagare, alla ricerca di ispirazione e conoscenza, non ha mai smesso di restituirgli la vista di luoghi incantevoli al pari di quell’eden solo immaginato. È quanto racconta la mostra “Viaggio nei Giardini d’Europa”, ospitata alla Reggia di Venaria fino al 20 ottobre, che raccoglie disegni, dipinti e suggestioni di architetti, paesaggisti, principi, scrittori ed eruditi, che per secoli hanno attraversato il vecchio continente ammirandone stupefatti i paesaggi più diversi.
Un approccio nuovo e originalissimo al tema: per la prima volta, infatti, un allestimento artistico dà voce a delle impressioni lasciate su taccuini e diari o trasposte in opere di ingegno, elevando questi viaggiatori – per svago o lavoro –, dal Cinquecento all’Ottocento, testimoni universali di storia e cultura.
La mostra, seguendo una trama ideale che da André Le Nôtre arriva a Henry James, è ripartita in dodici sezioni, con circa 200 pezzi tra dipinti, disegni, arazzi, volumi, modelli e altri manufatti, passando dalle geometrie dei giardini italiani alle fughe “all’infinito” di quelli francesi, fino al “pittoresco” delle composizioni inglesi.
Nel contesto della Reggia di Venaria e dei suoi Giardini si presenta così l’Italia del “Grand Tour”, l’Europa dei regni e degli imperi con i giardini di ville e palazzi, manifestazione di potere, ma anche fenomeno “alla moda” ed evocazione di mondi lontani e sognati.
La mostra è stata realizzata dal Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, d’intesa con il Politecnico di Torino, Dipartimento di Architettura e Design (DAD), e l’Associazione Parchi e Giardini d’Italia (APGI), con il patrocinio dell’Association des Résidences Royales Européennes (ARRE), curata da Vincenzo Cazzato, Paolo Cornaglia, Maurizio Reggi con il contributo di Paolo Pejrone.
L’esposizione si apre con il viaggio di Montaigne (“Il viaggiare mi sembra un esercizio giovevole. L’anima vi si esercita continuamente notando cose sconosciute e nuove”), che accompagna il visitatore nei più famosi giardini italiani del Cinquecento, tra grotte, automi e giochi d’acqua, visitando più di una volta le ville medicee in Toscana: tre volte Castello, due volte Pratolino mentre è in costruzione il Colosso dell’Appennino del Giambologna. Nel secolo successivo, il viaggio di André Le Nôtre offre l’occasione per illustrare la diffusione in Europa di un nuovo modo di concepire complessi su grande scala, quel “giardino alla francese” che diventa una formula per esprimere tutti il potere di grandi e piccoli Re Sole.
Con l’affermazione della nuova moda del giardino inglese, favorita anche dalla conoscenza dei giardini cinesi e delle loro forme ispirate alla natura, l’Inghilterra - insieme alla Francia e all’Italia - costituisce un forte richiamo per architetti e giardinieri, come lo svedese Fredrik Magnus Piper e l’italiano Francesco Bettini.
Il giardino inglese si diffonde ovunque in Europa. In Francia Carmontelle, commediografo, oltre che paesaggista, organizza il futuro Parc Monceau secondo una successione di scene, proponendo all’interno di uno stesso giardino un viaggio immaginario da Oriente a Occidente, come su un palcoscenico. “Riunire in un solo giardino tutti i tempi e tutti i luoghi” è l’obiettivo primario di Carmontelle, che identifica il giardino come un luogo d’illusione: “Trasportar dentro i giardini i cambi di scena dei drammi”.
A fine Settecento i viaggi degli aristocratici conducono il visitatore nei maggiori giardini europei. Charles Joseph Lamoral, principe de Ligne, amava i giardini, in particolar modo il suo, che aveva realizzato con molta cura a Beloeil, seguendo la nuova moda che rifuggiva dalle geometrie e dall’artificialità dei giardini regolari francesi e italiani, a favore di una concezione più libera e naturale, ispirata dalla pittura di paesaggio.
Paolo Petroviĉ Romanov e Sofia Dorotea di Württemberg, eredi al trono di Russia, viaggiando in incognito sotto le mentite spoglie di Conti del Nord, a Monza ammirano il giardino disegnato dal Piermarini; a Torino stringono accordi con gli artisti di corte, la contessa richiede la copia di disegni e progetti. A Parigi visitano le dimore private più moderne, come l’Hôtel Thélusson, ma anche il Trianon, nei cui giardini considerati “deliziosi” si svolge una festa in loro onore. Tutto diventa fonte d’ispirazione per la loro residenza di Pavlovsk, una villa neoclassica immersa in un giardino pittoresco, vicino San Pietroburgo, dove rientrano nel 1782.
I giardini della penisola, come si è detto, sono tappa obbligata del “Grand Tour”. Pittori come Hubert Robert e Fragonard giungono in Italia per ritrarne i più noti nel loro stato di decadenza e il primo, al rientro in Francia, si cimenterà egli stesso nella progettazione di giardini. Il “Presidente” Charles de Brosses e Stendhal attraversano lo stivale da nord a sud (“Io viaggio non per conoscere l’Italia, ma per il mio piacere”, scrive l’autore di “Il rosso e il nero”), fino a Napoli, mentre nel suo viaggio nel segno di una rinascita interiore Goethe si spinge ancora oltre, raggiungendo la Sicilia. Ma è a Roma, città che esercita in lui un’attrazione irresistibile, trova realizzata la sintesi fra arte e natura, fra passato e presente: “Osservo le rovine, gli edifici, visito questa e quella villa…”. E le lunghe passeggiate nella campagna fanno emergere, nel papà del giovane Werther, la passione per il disegno.
Fra Otto e Novecento, con due viaggiatori americani d’eccezione, Henry James ed Edith Wharton, l’Italia si conferma ancora terra di giardini, fonte di ispirazione per quelli d’oltreoceano. L’attenzione dello scrittore per il paesaggio e i giardini emerge dalla raccolta di saggi “Italian Hours” (1909), dove scrive: “A Roma si può godere della veduta della città da una dozzina di punti di vista e disporre di una villa diversa per ogni giorno della settimana e ce ne sono molte di più, con i loro panorami, i loro suoni, gli odori e i ricordi, di quanto possiate percepire con i vostri sensi. Ma fra tutte, quella che preferisco è la Borghese”.
Il percorso della mostra si conclude con un viaggio nel sistema dei giardini delle Residenze Reali Sabaude, specchio dei diversi modi di progettare la natura succedutisi nei secoli. Dall’anello verde di Emanuele Filiberto attorno alla città, costituito da edifici, parchi e terreni di caccia, che prenderà forma nel tempo fino a divenire la “corona di delizie” descritta da Amedeo di Castellamonte, al paesaggista tedesco Xavier Kurten, ingaggiato durante la Restaurazione dai principi di Carignano, per i quali ridisegna in forme paesaggistiche il parco di Racconigi (1820), dedicandosi poi all’ingrandimento di quello di Govone (1819), alla completa riforma di quello di Agliè (1829) e alla realizzazione di molti parchi “all’inglese” per la nobiltà piemontese.
Per informazioni: www.lavenaria.it/it/mostre/viaggio-giardini-deuropa