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Cultura e spettacoli | 27 aprile 2020, 12:00

"Dopo la Torino di Argento, una storia esistenziale di solitudine e redenzione" [INTERVISTA]

Il giovane regista torinese Luca Canale Brucculeri racconta il suo periodo creativo in questi mesi di quarantena, a un anno dall'uscita del primo lungometraggio, "Onirica": "Scavo nell'io, ma chiedo conto allo spettatore"

"Dopo la Torino di Argento, una storia esistenziale di solitudine e redenzione" [INTERVISTA]

Dopo l'omaggio alla Torino oscura e fascinosa calcata da Dario Argento con l'opera prima Onirica (MAY Films Production con Lacumbia Film, Isophonic Studio e Gipix), Luca Canale Brucculeri, torinese, classe 1987, ha da poco terminato un nuovo progetto cinematografico. E' cambiata la musa ispiratrice, così come l'intento poetico, ma ci troviamo ancora una volta di fronte a un tema, quello dell'introspezione, da sempre molto sentito dall'autore. Un inabissamento nell'animo umano, più intimistico e filosofico, frutto anche di riflessioni e spunti offerti da queste ultime settimane di forzato isolamento.  

Luca, lo scorso mese il tuo esordio nel lungometraggio ha compiuto un anno. Ora la quarantena ti ha accompagnato nella stesura del tuo prossimo film. Ci racconti il periodo creativo che stai vivendo ora, anticipandoci qualcosa sul tuo nuovo lavoro, e cosa vedi se guardi al 2019, quando uscì “Onirica”?

Sì, ho pensato tantissimo a quanto capitato negli ultimi dodici mesi. Onirica ha compiuto un anno proprio nel momento in cui è scoppiata l’emergenza Coronavirus. Se fosse uscito in questo periodo, sarebbe stato di certo un disastro e avremmo dovuto cancellare tutti gli appuntamenti prefissati. Il problema più grande di noi registi indipendenti è proprio questo: cerchiamo di far vedere i nostri film il più possibile, se saltano quei pochi appuntamenti si rischia un buco nell’acqua, ed è molto complicato, poi, recuperare. Al primo film avevamo lavorato quasi un anno, finendo le riprese nel luglio 2018: presentarlo a inizio 2019 fu un traguardo grandissimo. Adesso attendiamo l’uscita della versione home video, che è rimasta bloccata per via dello stop dei fornitori. Onirica ha sicuramente avuto una buona reazione dal punto di vista del pubblico e della critica, ma ci è mancata la parte “festivaliera”, l’atmosfera da concorso, la competizione. Quando lavori nel piccolo, un minimo di riscontro dal punto di vista dei premi e della partecipazione è importante. Ma, nel frattempo, sì, ho completato la nuova sceneggiatura. Che avevo iniziato poco dopo aver terminato le riprese di Onirica. Sai, uno di quei momenti in cui ti dici: ok, adesso mi fermo per un po’, e invece il giorno sei subito lì, di nuovo al lavoro. Perché è un mestiere che ti dà tanto e ti chiede tanto in cambio. La sceneggiatura l’avevo iniziata, di fatto, ma poi era rimasta lì, mentre andavo in giro per le presentazioni di Onirica e mi dedicavo a qualche altro lavoro. Adesso, in questo periodo di stallo, ho scelto di riprenderla tra le mani, abbandonando un paio di altre idee che avevo in mente, una suite di omaggi al cinema di genere in cantiere, sulla falsariga di quanto fatto per il giallo di Argento. Perché sentivo il bisogno di fare qualcosa di diverso. Quindi ho preso la sceneggiatura com’era, alla prima stesura, e l’ho modificata fino ad arrivare alla diciottesima, smembrandola completamente. Non posso rivelare molto, ma diciamo che questo nuovo lavoro è di genere psicologico; già con Onirica eravamo entrati nell’inconscio e nel mondo dei sogni. Mi piace soddisfare il pubblico con ciò che mostro sullo schermo, ma voglio anche che lo spettatore, guardando il film, prenda qualcosa di suo e lo trasformi. David Lynch questo meccanismo l’ha fatto proprio, portandolo all’estremo. L’idea è di poter tornare a una pellicola più volte, capendo sempre qualcosa di nuovo rispetto a ciò che aveva da dire, i riferimenti che chiamava in causa, di pari passo con la sensibilità dello spettatore, nel tempo acuita dalle esperienze di vita. Un po’ come quando guardi un quadro e vedi esattamente ciò che vuoi vedere in base all’emozione che ti suscita e quello che tu hai dentro. Ogni volta ci trovi qualcosa di nuovo. Questo sarà un film a libera interpretazione, dove lo spettatore cadrà letteralmente nell’abisso della mente di una persona che si affaccia alla perdita e alla solitudine. È una storia di redenzione dal valore universale.

La Torino che hai raccontato nel tuo film d’esordio era conturbante, misteriosa e, soprattutto, deserta. La stai ritrovando nelle immagini attuali della reclusione da Coronavirus? E questo potrebbe essere un motivo ispiratore per qualche nuova opera?

La Torino di Onirica faceva paura, ma era, per così dire, una paura di sogno, di incubo. La Torino di adesso è molto più tangibile. Nel film ho lavorato spalla a spalla con il direttore della fotografia Mattia Furlan, studiando molto bene l’utilizzo delle luci per rendere la città anche un po’ pop, quasi finta. La Torino di adesso è sì deserta, ma la cosa che impressiona di più è un’immagine come quella di via Roma, con un sole bellissimo che taglia alla perfezione i portici, e in giro non c’è nessuno. Ecco, quella secondo me è l'aspetto più bello della città, ora. Non c’era nessuna storia da raccontare sotto quei portici, erano vuoti, non un passo, non una musica. Siamo passati dalla Torino di sogno a una Torino, nel suo essere luminosa, molto più cupa. Avevo avuto il pensiero, a un certo punto, sistemando la nuova sceneggiatura, di figurarmi la Torino di adesso, in piena quarantena, ma poi ho realizzato che questo film non avrà un'ambientazione urbana. Voglio esprimere un altro tipo di desolazione e intimità attraverso il personaggio principale, che sarà di nuovo Fabio Rossini, il protagonista di Onirica. Un altro tipo di vuoto. Se ora tu batti le mani in questa Torino deserta, si sente il rimbombo: ecco, lui sarà un personaggio ancora più solo, alle prese con un percorso filosofico ed esistenziale da intraprendere. 

Veniamo ora a una questione più pragmatica. In questi giorni si sta riflettendo sul futuro del mondo della cultura e dello spettacolo, partendo da un presente tutt’altro che roseo. Tu, da giovane regista, come vedi la situazione e quali strumenti credi occorrano per sostenere le nuove produzioni sul territorio?

Ci tireremo su le maniche, come abbiamo sempre fatto, lavorando con budget molto bassi. Per sopravvivere a questo tipo di situazione bisogna aiutarci tra di noi, non smettere mai di creare. Sono nati diversi gruppi su Facebook, che racchiudono vari operatori dello spettacolo, diventati sempre più attivi nella critica di stampo politico, anziché nella voglia di fare. Io credo invece che serva reagire: per un artista reagire è tutto. E dobbiamo innanzitutto trasmettere serenità a chi è a casa, con il nostro lavoro. In queste settimane siamo tutti impegnati nell’intrattenimento, dal più piccolo al più grande, e non dobbiamo abbassarci a compromessi. Per me l’arte non è mai stata politica. Molti, invece, si sono dimenticati cosa significa davvero essere artista. Noi possiamo aiutare il prossimo, a modo nostro. Non siamo medici e non salviamo vite, ma possiamo comunque ammorbidirle.

Ora una domanda più personale. Oltre a essere regista e attore, sei anche un alacre lettore e spettatore. Quali storie ti stanno facendo compagnia, in questo periodo di isolamento, e soprattutto quali generi ti sollecitano di più?

Ho preso dalla mia libreria tutte quelle cose comprate alle bancarelle d’estate e mai lette. E poi guardato tutti i film rimasti lì, nella lista dei titoli da vedere. Io, poi, sono un amante del cinema orientale, e devo dire che questo genere di opere mi ha aiutato molto nel modificare la mia nuova sceneggiatura. Di grande attualità, poi, un romanzo fantascientifico come Io sono leggenda, di Richard Matheson: distopico, apocalittico. Fortunatamente non ci ritroviamo in condizioni così estreme come quelle descritte dall'autore nel '54...

Ricordiamo infine i prossimi “appuntamenti” con il tuo nuovo film, quando tornerà la normalità. Hai una deadline da rispettare? 

L'idea era di girarlo d’estate per poi farlo uscire nel 2021. Dovrà essere un lavoro molto veloce, mirato, perché il tempo a disposizione è poco. Ma, allo stesso tempo, ne ho abbastanza, davanti a me, per poter limare qualsiasi cosa superflua. Una delle principali critiche mosse a Onirica era proprio sulla sceneggiatura, per alcuni dialoghi forse superflui o blandi. Ma è giusto sbagliare per migliorarsi, per questo ora sto cercando di rendere tutto molto più essenziale. E poi la perfezione non esiste, altrimenti non è arte, ma tecnica applicata. 

Manuela Marascio

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