Una giostra malinconica che si distacca dalla vita per trasmigrare nel sogno, una galleria di volti straniati come specchio riflesso dell’animo, set teatrali abbandonati che accolgono burattini stanchi per un’ultima incursione sulla scena. È l’immaginifico “Carousel” di Paolo Ventura, la nuova mostra allestita a Camera dal 17 settembre all’8 dicembre, curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, che apre le danze ai festeggiamenti per i primi cinque anni di attività del Centro italiano per la Fotografia.
“Un onore per noi accoglierla in occasione del nostro compleanno - ha detto il presidente Emanuele Chieli -, una nuova tappa nella presentazione delle maggiori personalità della fotografia italiana contemporanea”.
“Questa - ha continuato - è la quarantesima mostra che proponiamo al nostro pubblico: un bellissimo risultato per questi primi anni di lavoro. Mi auguro che tutti possano apprezzarne il chiaro esempio di commistione tra arte, fotografia, ricerca e visione”.
“A partire dalla piccola esposizione di alcuni lavori di Ventura per la scenografia di ‘Pagliacci’, che abbiamo ospitato nella nostra Project Room nel 2017 - ha spiegato il direttore Walter Guadagnini -, abbiamo lavorato fianco a fianco con l’artista per scavare nei suoi archivi e portare in questa mostra alcune opere che non sono mai state esposte prima d’ora in Italia, fino ad arrivare alle sue creazioni più recenti. Un percorso di collaborazione molto stimolante che ci ha condotto a un’installazione particolarmente scenografica, spettacolare, che colpisce subito l’occhio del visitatore e permette di evidenziare anche nuove chiavi di lettura dell’opera di Ventura stesso”.
Ed è davvero come camminare dentro un teatro di posa, stanza dopo stanza, immergersi in questo allestimento originalissimo e totalmente fuori dagli schemi, dove la volontà dell’artista è sempre presente e in continuo movimento, quasi fosse un work in progress: “Volevo metterci mano direttamente, intervenendo anche sulle fotografie stesse - ha raccontato Ventura presentando la mostra al pubblico -, per questo i testi di accompagnamento nelle varie sezioni sono scritte con il pennello direttamente sulle pareti. Volevo realizzare qualcosa di diverso dal solito, e così è stato”.
Dopo l’esordio nel mondo della moda, Ventura, nato a Milano nel 1968, si è trasferito a New York per dedicarsi a tempo pieno alla propria ricerca, per rientrare quindi in Italia realizzando alcuni dei suoi progetti più celebri, tra fotografia, pittura, scultura e teatro. Alcune delle opere più suggestive degli ultimi quindici anni sono esposte ora a Camera attingendo da svariate collezioni, oltre allo studio di Ventura stesso.
La prima sala avvolge fin da subito il visitatore nella poetica di Ventura attraverso le suggestioni della memoria e del racconto, restituendo una visione del mondo in bilico fra realtà e finzione. È evidente in «War Souvenir», del 2005, dove l’artista ricrea i racconti di guerra della nonna materna, mettendoli in scena attraverso scenografie di cartone e piccoli burattini. Per passare poi a «Behind the Walls» (2011), dove Ventura inizia adusare se stesso come soggetto delle proprie immagini. Nella spettacolare installazione di maschere che ricopre un’intera parete della sala il ragionamento sulla memoria si interseca, invece, con un altro filone fondamentale della ricerca di Ventura, vale a dire quello sull’identità. I volti di queste sculture di cartapesta, realizzate nel 2019, sono quelli delle persone incontrate dall’autore nelle varie fasi della sua vita.
La seconda sala si apre con «L’automa» (2010) uno dei lavori più noti della prima fase di produzione di Ventura. Fra le calle di una Venezia assediata, si dispiega la storia di un uomo che trova proprio in un automa il rimedio alla propria solitudine. Fino al violento rastrellamento del ghetto ad opera dei nazisti, che costringe i due personaggi a separarsi. In «Winter Stories» (2007), l’atmosfera sospesa e malinconica si tinge di tinte surreali, esaltate dall’ambientazione circense. In mezzo alla foschia invernale, in un tempo rarefatto, riprendono vita i ricordi di un pagliaccio sul letto di morte: echi di felliniana memoria dove il grottesco trova riposo nella tenerezza dell’addio.
Si prosegue poi incontrando le “Short Stories” costruite da Ventura in quel luminoso fienile nei pressi di Arezzo, dove si trasferì dopo il soggiorno a New York. Il protagonista è ancora una volta l’autore, affiancato dalla moglie, dal figlio e dal fratello gemello, un doppio, chiaro riferimento alla ricerca della propria identità. A riempire lo spazio centrale, un’imponente installazione di costumi utilizzati da Ventura in persona per impersonare i protagonisti delle sue storie: maghi, pagliacci, soldati.
E proprio il soldato è il personaggio più ricorrente nella narrazione dell’artista. Emblema della spersonalizzazione, è costretto ad abbandonare la propria identità per indossare una divisa, che gli consente di compiere gesti e azioni altrimenti impossibili in società. Emblematica in tal senso «Ex Voto» (2017), con i volti di soldati della Grande Guerra che ci guardando chiedendosi se siano vivi o morti, se il sangue che cola sulle loro divise sia il loro.
La seconda metà dell’esposizione è invece dedicata interamente a due nuovi e inediti progetti: il primo è “Grazia Ricevuta”, ulteriore affondo nella cultura popolare. Il secondo, “La Gamba Ritrovata”, esposto in questa occasione è il frutto di una residenza svolta presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma, avviata grazie alla collaborazione fra Camera e l’ente ministeriale. Sulla scorta dello studio e della riflessione sulla rappresentazione delle vicende risorgimentali, a partire dagli Archivi dell’ICCD, Ventura allarga il proprio orizzonte
ai temi della rappresentazione della guerra attraverso la fotografia e della difficile accettazione della modernità del mezzo fotografico in un paese fortemente legato alla tradizione come l’Italia del XIX secolo. Tutto questo attraverso il romanzesco rinvenimento di una serie di rare carte salate, risalenti al periodo risorgimentale, nel corso della residenza romana dell’artista.
A chiusura di “Carousel”, nel corridoio, appaiono le primissime serie di Ventura, risalenti agli anni Novanta, prima del trasferimento a New York. In «Buchi di violenza» (1996) l’autore ritrae le lacerazioni lasciate da spari o scoppi di bombe su vari oggetti, avvicinandosi molto al soggetto e utilizzando un flash ad anello per esaltare l’effetto straniante dell’immagine. Nelle immagini della serie «Prima Guerra Mondiale» (1998), invece, gli oggetti vengono indagati con perizia scientifica: lo sfondo neutro e l’illuminazione uniforme ne raccontano ogni dettaglio visibile, senza però riuscire a svelarne le storie. La fotografia si mostra quindi con i suoi limiti e rivela l’incapacità di raccontare davvero; da questa constatazione nasce il particolare approccio che permea tutta la ricerca successiva di Ventura, dove finzione e realtà sono ormai sullo stesso piano.