Una serranda tirata giù, un lucchetto e cartelli di “fuori tutto” un po’ ovunque. Nella Torino che passa dalla zona gialla alla zona arancione, i negozi di via Po sembrano immersi in una crisi da profondo rosso.
Basta fare un giro sotto i portici della lunga via che collega piazza Castello a piazza Vittorio per rendersi conto di come in 12 mesi la crisi già iniziata prima della pandemia si sia acuita nel tempo e abbia lentamente spento via Po. Chi ha chiuso tra il primo e il secondo lockdown, non ha mai più riaperto. Alcuni locali storici, come per esempio il bar di Fiorio, non hanno nessuno dentro perché le serrande sono tristemente abbassate. Ci sono poi le attività “nuove” come Gaudenti, che hanno lasciato il locale già dopo la prima ondata.
Qualcuno, per provare ad arrivare a un domani che appare ancora incerto, sta provando a pensarle tutte per sopravvivere. Si spiegano così i dehors improvvisati con atelier sotto i portici o i “fuori tutto” di Scali. Una resistenza quasi stoica, al netto di una crisi economica che ha privato (tranne che nel fine settimana) via Po del consueto passaggio che per anni aveva fatto fiorire il commercio di questa via. Oggi, inoltre, chi passeggia non sempre compra. Anzi.
Non è immune dal coma commerciale in cui sono caduti i negozi di via Po e vie limitrofe anche l’esercizio del consigliere comunale Roberto Malanca, in via Sant’Ottavio 8: “Anche il nostro punto vendita chiuderà, dopo 13 anni, il 31 marzo” si legge nel post pubblicato su Facebook, affiancato da eloquenti foto di vetrine che richiamano a un altro “fuori tutto”. “L’attività di vendita, dopo, proseguirà per il momento solo sul sito” spiegano dal negozio. Un segnale tangibile di come, stretti dalla morsa della crisi, gli esercizi commerciali facciano sempre più fatica a sopportare costi vivi come l’affitto e le utenze.
Chi sopravvive? Generalmente solo i proprietari delle mura. Ma anche quei negozi, circondati da serrande abbassate e chiusure, non è detto che possano reggere a lungo.