Mocchie è una borgata assolata e raccolta, sulla montagna di Condove: case senza tempo intorno alla chiesa, un sagrato che è un balcone per guardare negli occhi la Sacra. Pochi passi, e ci si ritrova sul sentiero che conduce a Frassinere, punteggiato da minuscole borgate abbandonate e antichi coltivi: vigne, segale, patate. Un pilone, uno dei tanti piloni sentinelle di un tempo sospeso, colpisce gli occhi con un affresco dai colori ancora vivaci: un prelato, dal viso tondo e bonario, è raccolto in preghiera davanti a un drappo, curiosamente “inquadrato” per metà. Sul telo, l’immagine di un uomo a figura intera, di faccia, e, quasi fuori campo, anche in visione dorsale… La Sindone, senza possibilità di dubbio, malgrado alcune evidenti inesattezze.
Già, perché l’Uomo sul lenzuolo viene raffigurato col volto glabro e le braccia distese lungo i fianchi, mentre il vero Sudario reca l’impronta di un corpo con le mani sovrapposte sul pube, con la barba bifida e i lunghi capelli ricadenti sulle spalle e forse raccolti sulla nuca.
Eppure l’ingenuità della rappresentazione nulla toglie al mistero e alla sacralità dell’immagine, il personaggio rivestito di porpora appare in contemplazione di qualcosa di più grande di lui, perfino l’aureola è un cerchio sottile, quasi impercettibile intorno al suo capo, come se la sua santità si inchinasse davanti a quel mistero disteso davanti ai suoi occhi…
Santo lo era, in effetti: si tratta di San Carlo Borromeo, che nel 1578 dopo la cessazione della pestilenza, fece voto di recarsi a piedi a venerare la Sindone. La reliquia più controversa e più importante della Cristianità si trovava allora a Chambery, fino a poco prima capitale del Ducato di Savoia: era stata infatti affidata a questa casata nel 1438 da Margherita di Charny, vedova del discendente di un Crociato che aveva partecipato al sacco di Costantinopoli nel 1204.
L’immagine achiropita (non dipinta da mano umana) non conobbe mai pace, poiché le sue vicende si intrecciarono sempre con quelle dei potenti, e la sua origine inspiegabile divenne sigillo di ogni potere.
Ecco quindi che Emanuele Filiberto “Testa ‘d fèr” , per rispetto della veneranda età del Cardinale, decise di avvicinargli il Sudario trasferendolo a Torino : un abile colpo di mano politico-religioso destinato a conferire ulteriore prestigio alla nuova Capitale .
Le tracce di questo viaggio attraverso la Valsusa si sono conservate nella devozione popolare, tra piloni e affreschi: si trova un tema sindonico anche in una pittura sull’ingresso del castello di Villar Dora, e sicuramente tra paesi e borgate potremmo vederlo ricorrere più volte
La devozione per la verità di fede raccontata dalla Sindone, e la meraviglia per quello che la scienza non riesce a spiegare completamente, trovarono la loro sintesi proprio a Torino, davanti alle lastre fotografiche che nel 1898 l’avvocato Secondo Pia impressionò nel Duomo di Torino… L’immagine è impressa in negativo !
Da allora scansioni computerizzate, elaborazioni in 3D, analisi delle tracce organiche e dei pollini fossili, indagini medico-legali ci hanno avvicinato l’Uomo che dopo così tanto tempo ci colpisce ancora come uno schiaffo , con le sofferenze indicibili impresse su un semplice tessuto, ma nulla ha dissipato il mistero di come tutto questo sia avvenuto . Dopo tre incendi, una bollitura in olio e liscivia, battaglie e assedi, riusciamo a contemplarla e raccontarla con lo stesso stupore dell’anonimo pittore di montagna.