Pietro De Maria torna all’Unione Musicale (Conservatorio, mercoledì 7 luglio – ore 20) per la quarta tappa del suo progetto di esecuzione integrale delle 32 Sonate per pianoforte di Beethoven. Inaugurato nel 2020 in occasione dei festeggiamenti per il 250° anniversario della nascita del compositore tedesco, questo lungo cammino proseguirà ancora nel corso delle prossime due stagioni e De Maria è il terzo italiano - dopo Dino Ciani (1970) e Andrea Lucchesini (1999-2000) - a realizzare l’integrale per l’Unione Musicale.
Particolare è la scelta di non eseguire le Sonate in ordine cronologico ma di proporle in base ai loro rapporti di tonalità, accostando quindi anche opere che appartengono a epoche diverse.
Nel quarto appuntamento si ascolteranno infatti quattro brani ben distinti tra loro. In apertura la giovanile Sonata op. 7, composta nel 1796 e pubblicata nel 1797, risale ai tempi della gaia vita viennese di Beethoven, quando le sue doti eccentriche di pianista e improvvisatore lo avevano imposto presso le élites culturali della capitale. Isolata fra i due grandi cicli dell’opera 2 e dell’opera 10, in questo brano si riscontra un potenziamento delle precedenti esperienze e una scrittura pianistica a grandi contrasti dinamici, che si direbbe prefigurino i timbri dell’orchestra.
A seguire una delle più celebri, la Sonata in do minore op. 13, pubblicata nel 1799 con il titolo originale di Grande Sonate pathétique e per questo passata alla storia come “Patetica”. Beethoven, come negli scritti di Schiller, tratta la materia patetica chiarendola in un rapporto dialettico fra due stati d’animo: la rappresentazione della sofferenza e la reazione alla sofferenza stessa. Nella Sonata op. 13 questi due sentimenti contrastanti sono evidenti fin dall’inizio, con il movimento Grave d’apertura a cui viene contrapposta la reazione dell’Allegro successivo.
La successiva Sonata in sol maggiore op. 79 è stata ritenuta per lungo tempo un’opera secondaria. Composta tra il 1808 e il 1809 nasconde invece, sotto l’apparente docilità, un’arte raffinata e sapiente, soprattutto per quanto riguarda le continue, geniali soluzioni ritmiche. Secondo la critica più recente il delicato equilibrio è proprio da intendersi come una «corda nuova» dell’ispirazione beethoveniana.
Il programma si conclude con la Sonata in mi maggiore op. 109, la prima delle ultime tre, composte in blocco, con reciproca sovrapposizione e influenza, tra il 1819 e il 1822. Una sorta di trittico, dove la forma tradizionale del genere viene riplasmata con straordinaria originalità e dove si assiste a un rivoluzionario allargamento delle possibilità timbriche ed espressive del pianoforte.