“Solo è il coraggio”, un titolo eloquente per una delle vite più intense che l'Italia e il mondo abbiano mai conosciuto: stiamo parlando di Giovanni Falcone, giudice simbolo della lotta alla mafia (assieme a Borsellino) ucciso a Palermo e protagonista dell'ultimo libro di Roberto Saviano edito da Bompiani.
"Volevo portare i lettori dentro la sua vita"
A pochi giorni dall'anniversario della morte (che ricorrerà il 23 maggio, ndr), lo scrittore ha presentato il suo lavoro al Salone Internazionale del Libro di Torino davanti a una folla come al solito incantata davanti a un narratore in grado di incollare occhi, orecchie e cuore alle storie che racconta: “Per scrivere questo libro – ha sottolineato Saviano – mi sono chiesto cosa si sarebbero aspettati i lettori. I miei obiettivi principali sono stati quindi due: quello di portarli dentro la vita di Falcone, di viverla, di essere lì con lui, e quello di scrivere con il cuore”.
Sfera pubblica e privata
“Solo è il coraggio” è un romanzo che ripercorre in modo approfondito e documentato la vita di Falcone non solo dal punto di vista prettamente pubblico ma anche privato, passando per le vicende che lo hanno riguardato insieme agli altri magistrati: “La sua storia - ha proseguito – è stata piena di vita: adorava il teatro, la musica e il mare, ha avuto rapporti profondissimi con la prima moglie e con Francesca Morvillo, giocava a calcio".
"La lotta contro la mafia è stata portata avanti come atto d'amore per sognare di trasformare il paese e cambiare le cose con gli strumenti del diritto, in una strada impossibile da interrompere anche per proseguire il percorso intrapreso con coraggio dai tanti colleghi che hanno pagato con la vita quella battaglia”.
Le curiosità e gli aneddoti
A rendere ancora più coinvolgente la narrazione sono i tanti aneddoti, personali e non solo, come il racconto delle uccisioni di Antonino Saetta e Antonino Scopelliti, che avrebbero dovuto rappresentare l'accusa nel secondo grado del maxiprocesso di Palermo: “Quando il procuratore capo di Palermo – ha concluso Saviano - chiese a Rocco Chinnici di fermare Falcone per le sue indagini economiche, Chinnici lo incoraggiò a continuare indicandogli la poltrona che sarebbe dovuta essere di Cesare Terranova, magistrato ucciso alcuni anni prima".
"Tutto quello che sappiamo sulla mafia viene da loro, che hanno fatto luce su tutto ciò che era invisibile agli occhi, ci hanno dato gli strumenti per capirlo e sono stati uccisi”. Una ferita aperta ancora adesso, trent'anni dopo.