Frenata secca, per l'economia piemontese e per quella torinese. Non scompare il segno "più", ma rispetto al passato recente la crescita è decisamente più fiacca: il terzo trimestre - secondo i dati Unioncamere - porta la produzione a crescere dell'1,7%. Gli ordini segnano +1,6, mentre all'estero le cose vanno ancora un po' meglio (+5,1%). Regge il fatturato, che grazie alle performance dei mesi scorsi aumenta del 10,5% e addirittura del 17,7% per l'export.
Il grado di utilizzo degli impianti sta poco sotto il 70%. Ma complessivamente il Piemonte ha fatto peggio della Lombardia, mentre il Veneto ci sta alle spalle per export e fatturato totale.
Luci e ombre
"Ci sono ombre - dice Paolo Bertolino, segretario generale di Unioncamere -, ma non mancano le luci come indica una produzione comunque superiore al 2018 e quindi al pre pandemia. E confidiamo che dal pnrr arrivi nuova linfa vitale, anche per le piccole realtà".
A trainare è soprattutto il Tessile (+7,2%), ma va bene anche il comparto dell'elettricità ed elettronica (+3,8%). A zavorrare Torino, però (+1,7), sono i mezzi di trasporto: calano del 3% e se le auto crescono di oltre 5 punti, altrettanto non si può dire dell'aerospazio, che cala di quasi 20 punti anche a causa della sua notevole ciclicità. Proprio i mezzi di trasporto garantiscono fatturato in salita (anche all'estero) anche per Torino: +16,7 e +26,2 oltre confine.
La speranza che in futuro possa di nuovo sbloccarsi qualcosa è legata a doppio filo agli ordinativi, soprattutto dall'estero, dove Torino segna un +7,7%.
La zavorra dei costi
Ma intanto i costi e le difficoltà di trovare materiale prima si fanno sentire. Oltre un'azienda su quattro (28%) ha dovuto ridurre la produzione per far quadrare i conti. Si tratta di una scelta fatta soprattutto da aziende che operano nei settori dei mezzi di trasporto, legno e mobile, chimica, plastica e alimentare, con quote superiori al 30%.
Una riduzione che in 77 casi su 100 ha pesato per il 20%. Ma quasi un'azienda su 5 ha ridotto fino al 50% la produzione. Chi non l'ha ancora fatto, in un caso su tre pensa di poter resistere ancora almeno fino a fine anno.
Tra le soluzioni messe in campo per combattere la difficoltà a trovare materie prime c'è un cambio dei mercati di acquisto (35% circa), ma altrettanti per ora non hanno fatto nulla. C'è però chi prova a cercare vicino a casa: sono il 24,2%.
Circa il 60% non ha fatto nulla per ridurre i costi dal lato produzione, mentre il 15% ha ridotto i giorni di lavoro settimanali. Oppure hanno organizzato l'attività in fasce orarie meno costose (9,3%) come il fine settimana o la notte. Wolo il 2,4% ha proceduto con la rilocalizzazione (il cosiddetto reshoring, ovvero riportare a casa pezzi di produzione): un processo che il Covid sembrava aver stimolato, ma che i costi hanno di nuovo smorzato. Oltre il 70% non ha agito sul costo del lavoro, mentre un 14% ha chiesto di smaltire ferie e permessi.
Aumentare i prezzi, tagliare le accise
Il 67,2% ha aumentato i prezzi, mentre il 13% ha investito nelle rinnovabili. Quasi un'azienda su quattro di quelle che investono sta però lavorando all'efficientamento energetico. Il 35,7% punta sul fotovoltaico aziendale, mentre le pompe di calore pesano per meno di un quinto.
Tra le domande che si fanno alla politica, soprattutto il taglio delle accise (82%), ma anche il supporto negli investimenti (42,6%) e il rafforzamento di una filiera territoriale (30%).
"Lo scenario però sta cambiando - conclude Bertolino - e dopo lo shock iniziale ora sta passando il concetto di dover investire e pianificare in maniera più lungimirante".