Nel nostro bel Paese sono numerosissime le tecniche di marinatura, ma sono tutte nate con l'intento iniziale di facilitare la conservazione dei cibi che, con essa, venivano "trattati".
Una di queste è, sicuramente, il carpione piemontese, del quale si parlava già dal medioevo epoca in cui, come è facile dedurre, l'invenzione dei frigoriferi era decisamente anacronistica. Esso veniva utilizzato altresì, in particolare nel caso del pesce, allo scopo di mascherare il forte sapore di fango.
Il suo nome deriva infatti proprio dal pesce di acqua dolce che veniva sottoposto a tale marinatura, ossia il carpione, appunto.
Gli ingredienti utilizzati per questa procedura, che risulta essere abbastanza lunga (si parla infatti di una notte, per permettere ai cibi di insaporirsi a dovere) sono sostanzialmente cinque: aglio, aceto, vino bianco, cipolle e salvia. Con il carpione alla piemontese vengono marinate diverse pietanze: dalla carne, al pesce (variante, questa, propria delle zone lacustri), alla verdura ed agli ortaggi, prima fritti o bolliti.
Nato inizialmente come tecnica propria della tradizione contadina, il carpione piemontese si diffuse progressivamente anche tra la borghesia, grazie alle donne di campagna che prestavano servizio presso le famiglie più abbienti. Tra l'altro, a Torino esso veniva consumato sotto i pergolati delle "piole" e delle bocciofile della città, solitamente associato a tomini piccanti.
Come per qualsiasi altra ricetta, anche per il carpione sono nate, in base alla territorialità o, più semplicemente, ai gusti di chi lo prepara, numerose varianti. Ma, in ogni caso, vale assolutamente la pena assaggiarlo, per poter godere del sapore che sprigiona.