L'economia torinese (così come quella piemontese) è fatta di tradizione. Ma anche di innovazione: un'ancora che la lega a un passato glorioso, ma pure un carburante che la spinge a crescere ed esplorare nuovi territori. Chi conosce bene questo mix è Marco Gay, 48 anni e torinese, presidente esecutivo di Zest spa, ma con una lunga carriera nella rappresentanza di categoria: già presidente del Gruppo Giovani, anche a livello nazionale, oggi è numero uno di Confindustria Piemonte ed è candidato alla presidenza dell'Unione Industriali di Torino. Una nomina che scatterà verso la metà del mese di luglio.
Presidente Gay, gli imprenditori della sua generazione sono cresciuti nel "mito" dell'auto. I tempi stanno cambiando?
“E' tutto il mondo che sta cambiando. E gli effetti di questi cambiamenti toccano da vicino il tessuto economico torinese, quello piemontese, ma anche gli altri territori. In un contesto così sfidante, però, l’economia torinese e quella piemontese hanno saputo comunque dare impulso a una forte resilienza. E addirittura a una vera e propria crescita, anche se non possiamo nasconderci che ci sono settori che vanno meglio e altri che fanno più fatica".
In tutto questo, che ruolo ha l'automotive?
"Forse bisognerebbe ampliare il ragionamento, proprio alla luce dei cambiamenti in corso. Si dovrebbe allargare il concetto, arrivando a parlare non soltanto di automotive, ma di mobilità nel suo insieme. Siamo di fronte a un contesto in cui il mondo intorno a noi sta cambiando. Sta cambiando anche quel tipo di consumo. C’è una minore domanda e oggi c’è anche un’offerta che ha dei costi importanti. Un esempio? L’auto elettrica impone costi non banali".
Torino e il Piemonte hanno carte da giocare?
"La risposta emerge analizzando il tessuto metalmeccanico che possiamo vantare: c’è una grande eccellenza, unita a una forte capacità di produzione e di esportazione, così come di creazione di valore. Forse non si producono quanti veicoli vorremmo, qui da noi, ma non è solo il nostro territorio a fare i conti con gli effetti del cambiamento. Lo sta facendo tutta Europa. Siamo in un momento storico in cui è necessario ripensare la mobilità nel suo insieme, intensa come servizio smart. Ma tutto questo non toglie un grammo alla nostra capacità di progettare, costruire e innovare pezzi di prodotto e di processo: è un nostro asset fondamentale. Serve però una politica industriale per la mobilità che sia comune a tutta Europa: senza una direzione comune e un approccio verso un mercato che cambia, continueremo a essere in difficoltà".
Gli imprenditori torinesi e piemontesi sono pronti?
"Io la volontà degli imprenditori la vedo, eccome: in questi anni hanno superato ostacoli imprevedibili come una pandemia, le guerre, i costi dell'energia alle stelle, l'inflazione e molto altro ancora. Stanno affrontando anche questo momento di cambiamento, a partire dall’automotive. Ma la mobilità è e deve rimanere un asset fondamentale per il futuro, visto che abbiamo competenze e capacità altissime. Ma con un monito".
Quale?
"Bisogna muoversi in tempo. Altrimenti sarà inutile".
E c'è ancora tempo?
"Siamo di fronte a periodo elettorale che rappresenta un grande banco di prova per il settore della mobilità, dalle elezioni Regionali a quelle Europee. C’è sul tavolo il dossier dell’abbattimento delle emissioni e la data del 2035. Deve diventare però una direzione percorribile, a livello politico: questo renderebbe più semplice costruire la politica industriale conseguente. Se invece si continua a lavorare sull’ideologia e non sull’impatto, sarà molto più difficile. Bisogna abbracciare il teorema della neutralità tecnologica: perseguire obiettivi che siano chiari e, insieme a una grande spinta di innovazione, mantenere anche la tutela delle imprese e dei lavoratori. Sarebbe una spinta importante".
Accanto al mondo auto (e mobilità), Torino e il Piemonte hanno altre frecce al proprio arco?
"Sappiamo produrre beni e servizi a valore aggiunto che sono straordinari. Siamo un melting pot di industrie e settori importanti, grazie anche alla presenza delle Università. Poi c’è il discorso turistico: tra Torino, le montagne, le Langhe e tutti gli altri territori, vedere sempre più persone in visita è bellissimo. Ma c’è anche tutta un’altra fetta di economia che ci permette di crescere ed essere attrattivi: sono i comparti di tecnologia, settore biomedicale e comparto sanitario, meccanica e meccatronica, gioielli e agroalimentare, vino e moda, solo per citarne alcuni. C’è tantissimo materiale grazie al quale si può continuare a crescere. Non bisogna pensare di dover “sostituire” qualcosa, ma dobbiamo essere quel che i dati ci permettono di essere: un territorio capace di grandi produzioni con aziende inserite nelle filiere internazionali, spesso in un ruolo da leader”.
Lei arriva dalla rappresentanza dei giovani imprenditori: c’è spazio per le nuove generazioni?
“Dobbiamo creare le condizioni per cui i giovani possano essere attratti da Torino e dal Piemonte. Poi magari vorranno girare il mondo, ma in valigia dovranno avere la motivazione per tornare a casa: qui si può fare impresa, come dimostra la grande presenza di multinazionali che è tra le più forti di tutta Italia. Non è semplice, però: servono politiche industriali e attenzione da parte di Governo, Regione e Comuni. Ma ci sono anche opportunità da cogliere”.
Quali, per esempio?
“Penso al Pnrr e alle enormi risorse che mette a disposizione in questo periodo storico, ma bisogna muoversi per tempo e progettare il futuro. Non è un tema che ci possiamo porre solo dopo il 2026. Anche le infrastrutture sono una leva fondamentale per poter creare crescita. E poi ci sono sfide di frontiera come l’idrogeno: è uno dei progetti bandiera per la nostra Regione. Sarà una tecnologia importante per il futuro, forse di transizione, ma dove si possono fare grandi investimenti, generare competenze e realizzare crescita, attirando industrie e capitali esteri”.
Senza dimenticare l’ultimo pezzo del puzzle, in ordine di tempo: l’intelligenza artificiale di cui Torino ospita il Centro di riferimento nazionale.
“L’IA è una tematica che vede il suo comparto economico crescere anno su anno del 30% e che ha un enorme impatto industriale, visto che lavora sui dati. È una tecnologia profondamente trasformativa, sia come applicazioni che come implicazioni. Al centro ci devono essere le competenze, ma in un tempo che sarà rapidissimo: ecco perché serve un piano Marshall per non ritrovarci con una tecnologia che non sappiamo usare e che magari sarà messa a frutto da altri player internazionali. Può essere un moltiplicatore che quintuplica gli effetti positivi per le aziende. Ma servono regole chiare, traiettorie definite e un sostegno a investire ancora di più. Senza dimenticare un piano di formazione adeguato. In sintesi, un percorso che ci permetta di dire in che direzione stiamo andando”.