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Attualità | 16 agosto 2017, 07:00

Il rebus di Ferragosto: questione granata mista al momento Juve

Da buon granata, mi ripugna ammetterlo, ma loro, non li chiamo per nome, ma avete capito a chi mi riferisco, sono un esempio da seguire dal punto di vista societario

Il rebus di Ferragosto: questione granata mista al momento Juve

Fa un po’ effetto, questo ferragosto, passarlo in spiaggia o sui monti, a prendere garbatamente per i fondelli gli amici bianconeri, reduci dalla sconfitta in Supercoppa Italiana, dall’alto del nostro roboante 7 - 1 con cui abbiamo maramaldeggiato sul moribondo Trapani, troppo inferiore alla compagine di Mihajilovic.

Eppure è così. E quindi sfoghiamoci, fin che dura.

Il passo falso dei bianconeri, che da quando hanno adottato il nuovo marchio così simile ad uno scarico idraulico, non ne azzeccano più una, da Cardiff a Roma, è solo temporaneo e credere veramente che i valori in campo, ma soprattutto fuori, si siano improvvisamente ribaltati, sarebbe folle imprudenza. E si badi bene, quando parlo di fuori dal campo, non faccio velate allusioni a chissà quali losche situazioni.

Mi riferisco alla struttura societaria, alla solidità economica, al coraggio imprenditoriale di chi ama osare e gode nel raccogliere i frutti della sua ardita programmazione.

Da buon granata, mi ripugna ammetterlo, ma loro, non li chiamo per nome, ma avete capito a chi mi riferisco, sono un esempio da seguire dal punto di vista societario. Tutte le iniziative, rigorosamente precedute dal J di rito, dal Medical al Campus, dallo Store al Museum, sono emanazioni di Re Mida in persona. Producono benefici diretti (guadagni) e indiretti (fidelizzazione dei vecchi tifosi e arrivi di nuovi) che dovrebbero far riflettere.

Perché noi, fatte le dovute proporzioni, no?

Eppure, se la ragione per un attimo esce dal suo proverbiale sonno, quello che genera mostri, e lascia lavorare in pace la memoria, non facciamo fatica a riconoscere che molte, delle iniziative che oggi stanno facendo la fortuna dei bianconeri, le aveva pensate e proposte Mauro Borsano, discusso presidente granata a cavallo tra fine anni 80 e principio 90.

Quello, che per intenderci, osò sottrarre con un colpo di mano piratesco alla “quinta del Buitre” Rafael Matin Vazquez, nel bello della sua carriera che stava proprio allora sbocciando.

Quello, giusto per ricordare, che riportò in scioltezza, trionfalmente, il Toro rilevato da Gerbi e De Finis, dalla B alla A e che a fine stagione ebbe il coraggio di non riconfermare il traghettatore Fascetti, per lanciare lo scalpitante, ruspante e rampante Mondonico.

Quello che ci fece sognare, eliminando prima i Merengues madrileni in semifinale, e sfiorando poi il colpo nella finale coi Lancieri di Amsterdam, perdendo senza perdere la coppa UEFA.

E lasciandoci, oggi, con l’interrogativo che non ha risposta, salvo voler pensare male a tutti i costi.
Perché se ci era arrivato un personaggio come Borsano, che nel prosieguo della sua vita è poi inciampato in ogni sorta di problemi, lasciando ampi dubbi riguardo al suo reale spessore, non ci può arrivare Cairo, personaggio tetragono e solido, con un patrimonio che Borsano manco si sognava e con abilità imprenditoriali indubbie?

Ecco, questo è il tormentone di mezza estate. Da alternare agli sfottò ai cugini di campagna, fin che dura, mi raccomando. E se trovate una risposta degna e sensata, fatemela pervenire.

Io sto perdendo ogni speranza di risolvere questo rebus insolubile. 

Domenico Beccaria

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