Fa sempre un bell'effetto parlare di Grande Torino.
Ancora di più, se lo fai davanti a duecento persone, che hanno pagato un biglietto per sentire anche te. Se poi quelle persone sono tutte olandesi e si sono riunite apposta in un teatro di Amsterdam, beh, la cosa lascia senza parole.
Ma questo è il piccolo miracolo che il calcio italiano e il Grande Torino hanno realizzato in esclusiva per il Total Football Festival, manifestazione giunta alla sua quinta edizione, questa volta completamente dedicata al calcio italiano.
Per onestà c'è da dire che gli Immortali erano in ottima compagnia.
Maradona e il Napoli anni novanta, il Milan del trio olandese Gullit - Van Basten - Rijkaard e Sacchi, il Bari di fallimento e quasi miracolo di primi anni duemila e per concludere il gladiatore Totti, che ha trionfalmente attraversato un quarto di secolo di calcio nazionale, segnandolo profondamente con il suo unico ed inimitabile modo di approcciare il calcio come la vita, splendidamente raccontato dall’amico Paolo Geremei, “romano e romanista” come si vanta di essere.
Insomma, un “parterre de Roi” mica da ridere.
Smaltita l'euforia che ovviamente ti coglie, alla vista di un pubblico così attento, informato, competente ed appassionato, le domande affiorano alla mente, spontanee. Ma in Italia, il nostro bel Paese dei mille campanili e cento parrocchie, saremmo riusciti a mettere insieme duecento “fedeli paganti” per un evento così?
E sottolineo sia “fedeli”, perché per costoro, è evidente, il calcio è una fede profonda, che “paganti”, perché nel bel Paese siamo tutti buoni con la lingua, ma poi far arrivare le mani al portafogli è esercizio a volte, spesse volte, troppe volte, di una difficoltà insormontabile.
Sarà che ho assistito a troppe iniziative, gratuite, in cui gli organizzatori sovrastavano numericamente i partecipanti, per poter dare a cuor leggero una risposta affermativa. Eppure sono molti i registi che propongono docufilm, come si definiscono oggi le vie di mezzo tra documentari e film, che trattano di aspetti del calcio di cui i più manco sospettano l'esistenza, a raccontare situazioni, a stimolare riflessioni.
Eppure sono molte le realtà culturali che cercano di squarciare il velo di ignoranza che incombe sul Gioco per eccellenza, quel calcio che negli anni è sempre meno rimasto uno sport ed è sempre più diventato un non so cosa, sospeso tra il circenses di romana memoria, buono per ammansire la plebe e fargli dimenticare i reali problemi di tutti i giorni ed il business milionario che genera fatturati da capogiro e schiaccia tutto quello che impedisce agli ingranaggi del sistema di girare lisci come l'olio.
Ignoranza che è prodromica della supina accettazione di qualsiasi nefandezza tesa a generare una sottomissione mentale e quindi una successiva dipendenza economica totale del soggetto tifoso al Moloch sistema, che tutto fagocita e a cui tutto è dovuto, tutto è sacrificabile.
Si illudono i tifosi di essere attori protagonisti del pianeta calcio, con frasi ad effetto tipo “il calcio è di chi lo ama”. Ma nemmeno per idea.
Il calcio è di pochi soggetti che lo tengono saldamente tra gli artigli e lo spennano, lo mungono, lo asservono ai loro interessi economici e politici. Lo dimostra il fatto che, malgrado i mugugni sul cosiddetto calcio spezzatino, ci adattiamo ad andare allo stadio a tutte le ore del giorno e della notte, sette giorni a settimana, sacrificando il resto. E quando non possiamo presenziare personalmente alla liturgia, la seguiamo da casa, in TV, in interminabili maratone che la domenica iniziano prima di pranzo e terminano a notte inoltrata, mettendo a dura prova la sopportazione delle pupille nostre e di chi ci sta intorno e magari non gliene frega nulla del calcio.
Lo dimostra il fatto che, escluse sporadiche eccezioni, la classifica sportiva delle squadre, ricalca pari pari quella del fatturato da esse generate e quindi inutile stare lì a scaldarsi troppo. Si sa già con ampio anticipo chi vincerà cosa, salvo che da lassù ci sia ineteresse a vivacizzare un po' la faccenda, con qualche risultato roboante a sorpresa o con qualche vittoria finale imprevista, ma nemmeno troppo, però.
Per questo dunque, occasioni di genuino interesse verso la storia, di puro piacere del disqisire e fare cultura, come la manifestazione olandese, sono perle di rara purezza, da incastonare in cameo di eccezionale preziosità.
Per questo dunque, il mio ringraziamento per avermi consentito di parlare di Grande Torino nella terra dove il nostro Vecchio Cuore Granata ha dolorosamente sanguinato venticinque anni fa, rinnovando la memoria degli Immortali e portando il mio modesto contributo a questa volontà di resistere all’omologazione cui i signori del calcio vorrebbero soggiogarci, sarà eterno.
La missione di tutti noi deve essere di restituire il calcio a chi, in maniera pulita e disinteressata, lo ama veramente.