"Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga". Così scriveva Primo Levi con la mente rivolta gli orrori del lager (dove venne deportato nel febbraio '44), già presagendo il pericolo dell'indifferenza e della dimenticanza che l'avvento del terzo millennio avrebbe portato con sé. Sono trascorsi cent'anni dalla sua nascita, e ancora adesso la sua voce resta una delle testimonianze più forti e imprescindibili per qualsiasi collettivo sforzo di conoscenza e ricerca intorno allo sterminio nazista della seconda guerra mondiale.
Oggi, 27 gennaio, il pensiero dei torinesi di ogni generazione va in primo luogo a lui. Un sopravvissuto alla Shoah che, anni e anni dopo la Liberazione, ha rimesso in discussione il concetto di essere umano, dopo l'esperienza-limite del campo di concentramento. Nei Sommersi e salvati, Levi riflette su chi, in prigionia, si arrendeva all'ineluttabile disperazione, abbandonata la forza di reagire, quella “massa anonima dei non-uomini che marciano a faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente". E, con una lucidità critica che in questi anni - siamo nel 1986 - ha raggiunto ormai l'apice, l'autore accantona ogni retorica e squaderna una sentenza che scocca le ultime ore della sua stessa esistenza, "troppa" da sopportare: se per gli oppressori la memoria può essere facilmente cancellata - e tanti ancora oggi negano -, per gli oppressi, al contrario, il ricordo delle torture subite non scompare mai. E a chi si è salvato non è toccato in premio un alleviarsi delle pene, anzi. Continua a vivere nei supersiti la vergona della stessa liberazione, il paradossale senso di colpa per i delitti commessi dai loro aguzzini.
La storia di Primo Levi è universalmente conosciuta attraverso le sue opere, ma sono certi luoghi-simbolo di Torino a emanarne per primi la presenza imperitura. Il liceo "Massimo d'Azeglio", dove compì gli studi classici con illustri compagni di scuola, quali Franco Antonicelli, Norberto Bobbio e Leone Ginzburg. L'università, dove si iscrisse alla Facoltà di Chimica, l'anno precedente l'emanazione delle leggi razziali fasciste. La sua casa in corso Re Umberto, dove si tolse la vita nel 1987. E, proprio nell'anno del centenario, il torinese Centro Internazionale di Studi Primo Levi sarà impegnato nel promuovere un fitto calendario di iniziative per celebrare la ricorrenza.
Per questo è stata lanciata una raccolta fondi su www.retedeldono.it per rendere il più presto disponibile il nuovo sito dedicato al programma di appuntamenti. Come spiegano i curatori, "è stato progettato sia per migliorare la fruizione dei contenuti, sia per proporre un viaggio agevole e intuitivo attraverso le varie dimensioni dell’opera di Primo Levi, che fu scrittore, testimone di Auschwitz, ma anche uomo di pensiero e di scienza".
Il termine è fissato per il 31 dicembre. Se si raggiunge la cifra totale di 30 mila euro, il Centro potrà sostenere il lavoro di un ricercatore incaricato di ricostruire "la progressiva diffusione delle 1500 copie vendute della prima edizione di 'Se questo è un uomo' – di cui ad oggi si conoscono solo in parte proprietari e collocazione – e la storia di singole copie passate di mano in mano nel corso degli anni".
L'evento inaugurale per il centenario a cura del Centro è stata infatti la mostra Se questo è un uomo, il libro "primogenito", allestita alla Biblioteca Nazionale dal 14 novembre al 15 dicembre 2018, con il patrocinio dell'Università di Torino. Attraverso documenti originali sono state presentate le anticipazioni su rivista dell'opera (scritta tra il '45 e il '47), l'accoglienza positiva da parte della critica, i primi tentativi di traduzione in altre lingue. Una ricostruzione storica che vuole continuare il suo percorso, perché l'allenamento della memoria non si affievolisca e, come sosterrebbe anche Levi, mantenga in vita quell'ultimo scampolo di umanità raziocinante contro le barbarie.