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Attualità | 31 gennaio 2019, 06:00

Bruno Segre: "Fascismo era slogan e ignoranza, ora la libertà è il bene supremo"

L'intervista al partigiano centenario in occasione della Giornata della Memoria: un bilancio di una lunga carriera da avvocato e giornalista difensore dei diritti civili, senza mai arrendersi e sempre oppositore di qualsiasi regime

Bruno Segre: "Fascismo era slogan e ignoranza, ora la libertà è il bene supremo"

I libri sono ammucchiati in ogni angolo della stanza, sulla scrivania, negli scaffali, alcuni persino sul pavimento. Le pareti dalle tinte calde esaltano i titoli di giornale delle pagine incorniciate, mentre una grossa poltrona di pelle accoglie la sagoma di uomo centenario che tiene fra le mani le ultime copie della sua personale testata, “L'incontro”. Bruno Segre, avvocato antifascista, celebrato con tutti gli onori per i suoi cent'anni appena compiuti, trova un momento di tregua dal tour de force degli ultimi mesi, soprattutto in queste giornate dedicate alla Memoria e ai tanti resistenti che si opposero alla dittatura nazifascista. Proprio stasera, infatti, Segre sarà ospite della Cascina Roccafranca per il progetto di lettura Leggermente, in un incontro curato dall'associazione A.ME.VA, dove parlerà del libro scritto dopo la prigonia a Le Nuove nel '44, Quelli di via Asti (Edizioni SEB27, 2013), e della sua lunga esperienza da giornalista, paladino dell'affermazione dei diritti civili e delle libertà individuali.

Lo abbiamo intervistato per l'occasione.

Avvocato Segre, lei mostra sempre grande energia ed entusiasmo. L'anno scorso è stato ampiamente celebrato per il suo centenario come “l'uomo che non si è mai arreso”. Cosa la spinge e la muove?

Devo ammettere che sono un po' stanco, perché gli anni incalzano. È una vera faticaccia. In questo mese ogni giorno un impegno, un incontro, un'intervista. Mi scattano continuamente delle fotografie che mostrano quanto sono anziano, ormai quasi da rottamare. Ma io non sono ambizioso, a me non importa niente della fama. Ormai sono molto distante da tutto questo. Cerco soprattutto di tenermi allenato, leggendo, scrivendo e coltivando le buone amicizie.

Settant'anni di ininterrotta pubblicazione per il suo periodico indipendente, L'incontro. Se dovesse fare un bilancio dell'attività, ora che sta per chiudere, a quali tematiche e battaglie civili si sentirebbe più legato?

Due sono state le principali. Innanzitutto il riconoscimento giuridico per l'obiezione di coscienza. Nel '49 difesi Pietro Pinna al tribunale militare di Torino e fino agli anni '70 furono centinaia le cause sostenute. Lo facevo quasi sempre gratuitamente, perché era gente modesta. Girai diversi tribunali: Padova, Roma, Napoli. Facemmo anche un numero infinito di dibattiti e conferenze, fino ad arrivare all'introduzione del servizio civile. L'altra importante questione è stata il divorzio. Proprio dov'è seduta lei c'era l'onorevole Loris Fortuna, con cui discutemmo a lungo e insieme portammo avanti la battaglia in suo favore. Ero relativamente giovane, potevo disporre di forza di spirito. Nel corso degli anni feci ben 938 divorzi, compreso il mio.

Qualche tempo fa ha partecipato al presidio sotto la prefettura di Torino in difesa della libertà di stampa. Come vede il panorama attuale nel giornalismo italiano? Si avverte davvero il pericolo di una limitazione del libero pensiero?

È un ambiente che ho sempre praticato. Sono stato membro del consiglio dell'Ordine regionale dei Giornalisti ed ero incaricato di verificare le richieste di iscrizione all'albo dei pubblicisti. Quante domeniche ho passato a scartabellare tra i documenti... Credo comunque che in Italia ci sia abbastanza libertà. Ai miei tempi erano parecchi gli episodi di denuncia per stampa clandestina. Il problema del giornalismo in Italia è importante: la gente non legge più, i lavoratori vengono pagati una miseria. Io stesso l'ho provato sulla mia pelle col mio giornale, le spese aumentavano continuamente. Si potrebbe dire maliziosamente che la libertà di stampa esiste soprattutto per chi ha i soldi.

Si parla spesso di pericolo totalitario, di nuovi fascismi all'orizzonte. Ma lei che questa condizione l'ha vissuta, come la spirgherebbe alle nuove generazioni, spesso disinformate?

Il fascismo era una continua esaltazione di miti antichi, ma ignorando del tutto la storia. Ad esempio Mussolini idolatrava Giulio Cesare dimenticandosi che fu ucciso perché voleva la dittatura, e di fatto lui finì nello stesso modo. Il regime era caratterizzato da una grande ignoranza e prepotenza assoluta, pieno di slogan che facevano presa sulla popolazione. Stupisce in effetti l'enorme consenso che ebbe. Fascismo significava violenza, ignoranza, ma aveva anche dei risvolti comici, direi ridicoli. Una volta ero per strada, diluviava e vidi passare sul marciapiede due donne con i bambini senza ombrello, fradice. Dissi loro di venirsi a riparare, ma loro risposero: “Siamo fasciste, non abbiamo paura della pioggia!”. E allora prendetevi una polmonite, cosa debbo dirvi. Ecco, questo è uno dei tanti esempi dei lati più grotteschi del regime. La mentalità allora era totalmente compressa dalla propoganda. Alla radio avevano persino modificato il testo di una vecchia canzone risorgimentale cambiando la parola “libertà con “romanità”, perché faceva paura ai più.

E invece lei ora la libertà continua a difenderla a spron battuto.

Per me la libertà è il bene supremo, la garanzia di giudizio e diritti per tutti. Il massimo che si possa tutelare. Negli anni abbiamo guadagnato l'emancipazione in tanti settori, soprattutto tra i sessi. Il mio giornale è sempre stato laicista, esigendo quindi una concezione dei rapporti sociali slegata da qualsiasi professione religiosa. Mi sono sempre battuto per l'abolizione del Concordato e dell'8 per Mille, basato su un'autentica truffa. E poi tutti privilegi del clero, l'esenzione delle tasse. È vergognosa la sudditanza che ancora persiste.

Siamo nel periodo in cui si celebra la Memoria per le vittime dello sterminio nazifascista. Che significato assume per lei il ricordo e in che modo il passato ancora parla al presente?

In questi giorni ho partecipato a diversi eventi: all'Archivio storico ho offerto del materiale raccolto durante la mia militanza in montagna, diversi oggetti tra cui quel portasigarette che mi salvò la vita, nel '44, quando venne a prendermi la Guardia Naizonale Repubblicana per arrestarmi e ne nacque una sparatoria. Il ricordo è come un'iniezione, un vaccino fatto per evitare le malattie. Allo stesso modo le celebrazioni attuali servono a impedire la dimenticanza, per far sì che non accada più. A maggior ragione ora che abbiamo un governo del genere, con Salvini che è un vero pericolo pubblico, un analfabeta della democrazia. Pericoloso quanto Trump, con lo slogan “America first”. Una sciocca pretesa di supremazia del tutto inesistente. L'italia nel registro dei diritti dell'uomo è molto indietro, niente affatto all'avanguardia. C'è ancora molto da lavorare.

Manuela Marascio

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