Anche negli States è stato dichiarato lo stato di emergenza, l’annuncio lo ha dato il presidente Donald Trump in seguito ai 2 mila casi riscontati sul territorio americano.
Anche il giovane cuneese Davide Sorasio, che lavora a New York ormai dal 2013 nel settore cinematografico come focus puller, sta vivendo questo periodo di apprensione globale. “Prima era vista come una questione abbastanza distante - racconta Sorasio - ma da tre o quattro giorni si sta prendendo maggiore consapevolezza. Se si va al supermercato adesso sugli scaffali a fine giornata iniziano a mancare alcuni prodotti, per lo più sanitari come sapone, carta igienica, e alcuni di prima necessità come la farina, ma i rifornimenti non mancano”.
Rallenta anche il lavoro: “Alcuni impegni che avevo sono stati cancellati o posticipati, i cinema stanno chiudendo o lavorano per una capienza del 50%”. Persino il Metropolitan Museum, come altre realtà culturali, ha chiuso al pubblico, segno che la questione inizia a essere presa sul serio. “Vedendo cosa è successo in Italia adesso stanno iniziando a capire la serietà della questione. Diciamo che si potrebbe dire che la situazione è come quella a metà febbraio in Italia, quando tutto funzionava ma poi man mano hanno iniziato a chiudere. Non c’è panico ma le cose stanno cambiando".
"Hanno sospeso i campionati sportivi, cancellato i voli per l’Europa, le ferrovie iniziano a cancellare alcune corse per poca richiesta perchè la gente non si sposta più, e anche le scuole iniziano a chiudere, come è successo in Massachusetts. Personalmente preferirei chiudessero tutto per due settimane senza trascinarla per un mese. La cosa che mi preoccupa maggiormente è qui il tampone non è come in Italia, bisogna pagarlo e tanto”.
La consapevolezza inizia dunque a farsi strada, anche se per ora non l’allarmismo non ha ancora invaso le abitudini degli americani. “Non ci sono tante persone con le mascherine e a New York onestamente mantenere la distanza minima di sicurezza la vedo davvero difficile”. L’Italia comunque agli occhi degli States appare come una nazione che si è impegnata bene nel contrastare il virus. “Parlandone con amici e leggendo i giornali qui, l’Italia ha fatto la cosa giusta anche se forse un po’ in ritardo. Tanti postano articoli e scrivono sulla situazione italiana, ma nessuno ha parole negative”.
“Per me resta ovviamente un po' di paura per i miei famigliari a Cuneo - conclude Sorasio - ma ora come ora non potrei proprio rientrare. Spero che l’emergenza finisca al più presto!”.