Alekos Zonca, classe 1998, inizia a scrivere le sue canzoni ispirandosi ad artisti come Le Luci della Centrale Elettrica e alle metriche rap di Rancore. Nasce così un progetto di cantautorato urbano a metà tra rap e indierock, che si chiama Narratore Urbano. Debutta nel 2019 con una demo autoprodotta per poi pubblicare quest’anno l’Ep “Fine delle Trasmissioni”. Nei suoi testi si trovano riferimenti alla cronaca e alla politica ma anche culturali e cinematografici. Il tutto mediato dalle sue sensazioni e dal suo modo di percepire il mondo. Attualmente sta lavorando ad un nuovo disco che si chiamerà “Post” e racconterà il 2020. Lo definisce una sfida con se stesso perché ci narrerà tutto quello che sta accadendo senza mai nominare le parole legate al lessico della pandemia in corso.
Alekos Zonca è il Narratore Urbano, come il primo si è trasformato nel secondo?
"Ho iniziato ad avvicinarmi alla musica all’età di 16 anni. È stato però solo alla fine del primo anno di università, dopo aver suonato come chitarrista in diversi gruppi del torinese, che ho deciso di portare avanti il mio progetto musicale in solitaria, affidandomi solo alla voce e alla chitarra. Sono sempre stato un grande amante dell’alternative rock e del cantautorato indie italiano. Al tempo stesso ho iniziato, negli ultimi due anni, ad avvicinarmi e appassionarmi sempre di più, a livello di ascolti, al mondo del rap. Mi riferisco in particolare a quel filone di artisti che privilegia la ricerca testuale come Rancore, Murubutu, Caparezza, Claver Gold, etc. È dall’esigenza di scrivere canzoni mettendo insieme queste due fonti di ispirazione che è nato il Narratore Urbano. Il nome è nato per caso a Pinerolo dopo un concerto con i miei amici della band torinese The Lansbury. Luigi, il loro batterista, si riferì ai miei testi come a delle “narrazioni urbane” e l’espressione mi piacque a tal punto da volerla adottare come nome d’arte".
Cosa ispira la scrittura dei suoi testi?
"Scrivo essenzialmente per dare un volto alle mie emozioni e per esorcizzare le mie paure verso un mondo così violento e così distratto, al punto che faccio fatica a comprenderne i meccanismi che lo regolano. Mi ispiro spesso ai fatti di cronaca e alla politica, pur mediando il tutto con le mie sensazioni e il mio modo di percepire il mondo. Cerco inoltre di integrare all’interno dei miei testi riferimenti culturali di vario genere. Questo perché penso che molte delle sensazioni che tutti noi proviamo quotidianamente siano già state descritte da tutti gli artisti. Sono un appassionato di letteratura e teatro fin da bambino e nutro un amore smisurato verso le arti pittoriche. Negli ultimi mesi sto cercando di coltivare una mia cultura cinematografica. Cerco di trarre ispirazione da questi spunti rimodellando però il tutto sulla base del gusto personale e facendo accostamenti imprevedibili.
Da “Amianto”, sua prima demo, all’ EP “Fine delle trasmissioni” come è cambiata la sua musica?
"Penso che sia cambiata in questi anni. La mia identità musicale, ancora molto acerba in “Amianto”, è andata, a mio avviso, via via definendosi durante il lavoro fatto per “Fine delle Trasmissioni”. “Amianto” è stato un demo completamente autoprodotto in camera mia e che per questo motivo non ha subito il processo di scambio di idee. Questo invece è stato alla base di “Fine delle Trasmissioni” registrato e prodotto da Fabrizio Pan dell’etichetta torinese Pan Music. Il lavoro svolto in studio è stato quello di far emergere fino in fondo il Narratore Urbano mettendo in risalto le caratteristiche distintive di questo progetto, con una maggiore cura dei suoni. Penso che sia cambiato tanto anche il mio modo di scrivere: “Amianto” è in fondo un insieme di riflessioni sulla mia adolescenza abbastanza spensierata. I testi erano ancora privi della crudezza e anche della nitidezza che contraddistinguono ad esempio testi come “Zucchero Filato”, “Granchietti” o “Sei, in un paese meraviglioso”. Brani questi contenuti all’interno di “Fine delle Trasmissioni”. Inoltre, è cambiato molto il mio modo di approcciarmi al pubblico durante i concerti. Sono partito da Pinerolo, città dove sono cresciuto, suonando in piccoli locali, spesso in maniera molto timida e riservata. Poco alla volta ho compreso che c’è spazio per quello che faccio anche a Torino, città dove ho trovato un pubblico attento ad accogliermi e dove penso di essere cresciuto sia sul palco che fuori. Penso che però il lavoro sia ancora lungo e che non bisogna mai pensare di essere arrivati perché c’è sempre moltissimo da imparare e da aggiungere nella propria musica".
Sta lavorando a brani nuovi?
"Attualmente sto iniziando a registrare il mio secondo lavoro discografico. Si chiamerà “Post” e racconterà di come il mondo è cambiato, in particolare in questo tremendo 2020. Stiamo vivendo tempi pieni di incertezza, dove anche la nostra quotidianità è messa a dura prova e dove il dialogo si sta esasperando, perché è venuto a mancare il pensiero critico. Quello che voglio fare quindi è dare una mia interpretazione. La sfida sarà quella di raccontare tutto quello che sta accadendo senza mai nominare le parole “Covid-19”, “Pandemia”, “DPCM” o “Lockdown”, e tutte quelle parole che sono entrate, nostro malgrado, nella quotidianità. Mi sento di dire che ci sarà anche un’evoluzione nella ricerca di suoni e alcune sorprese. Se tutto va bene questo lavoro discografico verrà pubblicato il prossimo anno, sempre per conto di Pan Music Production, con alcuni singoli ad anticipare l’uscita".
Cosa rappresenta la "sua" Torino, musicale e non?
"Torino, a mio avviso, è la città ideale per chi, in Italia, vuole scrivere la propria musica, usando le proprie sonorità senza attenersi ad un unico genere di riferimento. Non c’è un genere che va per la maggiore ma ci sono numerose identità musicali e modi di interpretare la musica che si contaminano tra di loro in uno scambio culturale di rilievo. É bello vedere come la scena dei cantautori sia ad esempio in stretto legame con il mondo dell’alternative rock o della musica elettronica e come questi generi si influenzino a vicenda. Insomma, è come vedere un laboratorio di idee in perenne fermento e attività, a cui però, a livello nazionale si da poco rilievo. Dall’alternative rock degli Atlante e dei The Lansbury, al nuovo indie pop degli Igloo o dei Fratellislip, passando per il post-rock strumentale dei CIJAN, l’indie sperimentale di artisti come gli Animali Urbani o dei Cheap al cantautorato di Francamente, Fusaro, Anna Castiglia, Pietro Giay, Roberto Speranza e Rossana De Pace, cantautorato che sovente arriva persino a fondersi con l’hip-hop come nel caso di Simo Veludo. Questi sono soltanto i primi nomi che mi vengono in mente di una lunga lista di artisti per cui provo profondissima stima e affetto e che meriterebbero, a mio avviso, più spazio a livello nazionale. C’è tanto fermento culturale a cui bisogna dare spazio".
Teatri e cinema chiusi, la musica confinata alle cuffie. Come vive da artista questo difficile momento per la musica?
"Purtroppo, è un periodo estremamente difficile per la cultura e penso che non si stia facendo abbastanza per promuovere il nostro patrimonio, non solo artistico ma anche culturale. Più di tutti però mi fa arrabbiare vedere come molta gente, nella totale ignoranza, associ i locali da concerto e i musicisti alle discoteche. Ci sono stati eventi che hanno, per la loro stessa sopravvivenza, adottato le misure anti Covid nella maniera più rigorosa come il Reset Festival che si è tenuto quest’anno. Penso che i fondi governativi inoltre non saranno sufficienti a garantire una felice ripartenza del settore perché non tengono conto proprio delle scene underground delle varie città. Realtà che sono veri laboratori culturali dove la musica ha modo di nascere, di essere sperimentata e di potersi perfezionare. Ma non si tratta di un problema legato al Coronavirus ma di un problema più profondo e radicato: la musica dal vivo, come il teatro o il cinema soffrivano già da anni. La pandemia è stata solo un catalizzatore, che ha accelerato un processo già in atto. Servirà, una volta che questa situazione d’emergenza sarà terminata, un’inversione di rotta, non solo da parte delle istituzioni ma, soprattutto da parte della cittadinanza. Se ciò non avverrà, se non verrà dato nuovamente spazio alla cultura e all’arte, e se non si forniranno a tutti gli strumenti per comprenderla, questo paese meraviglioso sprofonderà ulteriormente in una nuova emergenza, molto più subdola: quella dell’ignoranza".