Nome dolce e acidulo, musica indie-pop e un piglio umoristico. I Ribes è un progetto musicale nato da quattro torinesi nel 2018. Credono fortemente nella musica e nella positività al di là di tutto. Da pochi giorni è uscito il videoclip del loro singolo "5 Kg", pubblicato da poco. Il brano fa il verso a tutte quelle pseudo-scienze che brutalizzano l’uomo contemporaneo ma è anche una denuncia in difesa delle persone più deboli e fragili. Nel videoclip disegni, slogan e artifici utili bombardano l'attenzione dello spettatore, così come ogni pubblicità che si rispetti.
Come sono nati I Ribes e perché si chiamano così?
"Siamo nati alla fine del 2017 dalle ceneri della band Banana Rocket. Un bellissimo progetto rock adolescenziale, vissuto in una cantina dell’oratorio di Savonera e scemato a seguito di un lutto e un abbandono.
Attualmente la band è composta da tre dei cinque membri storici a cui si è aggiunto lo stimatissimo cantante, assunto (pagandolo in aria e pedate) in mancanza di alternative. Il nome de 'I Ribes' è la nostra dedica a Matteo Garbero, recuperando il suo nome in codice presente in un vecchio videoclip musicale".
Siete in 4, chi fa cosa?
"Alla voce c’è Rocchi, alla chitarra il dottor Rudy. La parte ritmica è in mano a Mazzeo per il basso, mentre alla batteria il maestro plurititolato Fabrizio Traversa. Solitamente il processo creativo parte con Rudy che si presenta in sala prove con qualche nuovo giro di chitarra, e da qui Rocchi comincia a costruire un testo. A partire da questa base le successive prove le dedichiamo a costruire tutta la struttura del pezzo con la collaborazione di tutti, spesso arrivando a stravolgere in maniera sostanziale le idee iniziali.
Ovviamente non possiamo dimenticare chi in studio riesce a dare una vera identità alle nostre idee. Kavah, produttore di spessore nel panorama torinese, e il nostro manager Judah, i quali ci hanno raccattato da una strada e riescono a dare una forma e un contorno alla nostra musica. La parte visiva è affidata ad Alessandra Buffon".
Cosa ispira la scrittura dei vostri testi?
"I testi sono opera di Rocchi e quindi a lui vanno presentate tutte le possibili denunce. Per i temi non abbiamo una linea ideologica precisa, ci piace spaziare senza limiti tra quello che ci stimola un'emozione, che sia positiva o negativa, o anche solo di episodi reali ai quali assistiamo".
L'ultimo vostro singolo “5 kg”, ne ha per tutti: dai terrapiattisti e superstiziosi ai No vax, fino a chi è sempre a dieta. Come dovrebbe essere per voi il mondo?
"Non piatto? 5Kg non poteva uscire in un momento migliore: con il Coronavirus sono aumentate le bufale su internet e sono stati sdoganati i complotti.
Il brano fa il verso a tutte quelle pseudo-scienze che brutalizzano l’uomo contemporaneo. Non mira a screditare chi è sempre a dieta, anzi, è un brano di denuncia in difesa delle persone più deboli e fragili che abboccano alla promessa di facili soluzioni diventando spesso vittime di facili raggiri".
Da pochi giorni è uscito il videoclip, raccontateci come è nata l’idea e chi vi ha aiutato a realizzarlo.
"La clip principale in cui eseguiamo il brano è un regalo del nostro amico-fotografo Bruno Gallizzi che immortalò questa esibizione leggendaria durante una sessione di prove presso la saletta di Comala. Durante il 2020, causa le numerose restrizioni, non abbiamo potuto incontrarci con facilità per creare un videoclip da zero da accompagnare all'uscita del singolo. Allo stesso tempo non volevamo privarci di questo mezzo comunicativo, quindi abbiamo rispolverato questa perla. L'abbiamo trasformata insieme ai ragazzi di Bodega Multimedia tutti rigorosamente in videochiamata dai divani di casa. Abbiamo pensato di giocare sull'idea di telepromozione che tanto andava forte tra gli anni '90 e inizi 2000, propinando sale o bigiotteria come cure miracolose e pietre preziose. Wanna Marchi vi dice niente? Il videoclip è un continuo bombardamento di disegni, slogan e artifici utili ad attirare l'attenzione dello spettatore, così come ogni pubblicità che si rispetti".
State lavorando a nuovi pezzi?
"Certamente! 'Life is a highway', ma abbiamo anche molti pezzi che portiamo in giro durante i nostri live. Le restrizioni della pandemia hanno evidenziato le difficoltà e a volte l'impossibilità di registrare i brani e reso è più difficile anche tutto il lavoro di contorno, dai live ai video. Tra un lockdown e l'altro siamo riusciti comunque a mettere da parte un po' di materiale che nei prossimi mesi uscirà a cadenza più o meno regolare, per arrivare all’estate con un disco pronto".
La vostra Torino musicale e non.
"Siamo dei grissini: Torino è la nostra città, siamo nati qui e l'amiamo. Abbiamo iniziato a suonare nei locali di Torino dai tempi del liceo. Ognuno di noi ha i propri ricordi, spesso brutti e altre volte belli. La scena musicale ultimamente si è decorata di tanti artisti indipendenti. L'indie ha sdoganato tante piccole opportunità per mettersi in luce rispetto a dieci anni fa quando noi giocavamo a fare i rocker. Il vero problema di Torino nasce quando l'artista vuole fare il salto di qualità. Si rischia di essere trattenuti da una sorta di 'provincia' all'ombra della Milano 'grande mela' (vedi Levante) ma è un discorso molto più ampio".
Teatri e cinema chiusi, la musica confinata alle cuffie. Come vivi da artista questo difficile momento per la musica?
"Noi quattro svolgiamo quasi tutte professioni a rischio e abbiamo vissuto la pandemia in prima persona con tutto ciò che essa comporta. Non possiamo capacitarci di alcuni comportamenti totalmente irresponsabili come gli assembramenti di bambini nel parco fortemente osteggiati dal vecchio Rocchi (fondamentalmente perché odia i bambini e adora i cantieri). Tuttavia riteniamo che la chiusura dei principali centri culturali come cinema, teatri e musei sia una restrizione troppo severa, considerata l'elevata possibilità di controllo certamente presente in questi luoghi. La mentalità contemporanea vede ancora l'artista come un perdigiorno. Sicuramente l'arte merita un'occasione nella lotta contro il Covid, settore musicale in primis e noi ovviamente non siamo di parte".