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Cultura e spettacoli | 24 gennaio 2021, 07:24

Letteratura ed esperienze personali prendono vita nella musica di Gibilrossa

"Torino per me è stata la scelta di seguire un’idea. E da tanti anni che la città in un modo o nell’altro 'mi chiama' e per ora ho deciso di provare ad ascoltare la sua voce"

Il cantante Gibilrossa

ph. credit Ilaria di Mauro

Gibilrossa è lo pseudonimo del cantautore siciliano, ma trapiantato a Torino, Giorgio Minasola. Il fingerstyle della chitarra acustica e un cantato calmo e intimo, a tratti quasi sussurrato, contraddistinguono la musica del cantautore. Nel 2019 viene selezionato per esibirsi al Reset Festival Torino e lì incontra il produttore Fabio Rizzo con il quale inizia a collaborare stabilmente.

Molti brani del prossimo disco il cantautore li ha creati tra le colline di Gibilrossa e la surreale calma e solitudine del primo lockdown. Primo estratto del disco in divenire è Accettando Tutto, uscito da poco. Il brano racconta una storia di circolarità degli eventi e della volontà di accettare il nuovo come fosse qualcosa di già vissuto, anche se con colori e forme diverse.

Come si è avvicinato Gibilrossa alla musica e perché si chiama così?
Sono ormai una decina d’anni che scrivo canzoni. Il fatto che adesso mi sto cominciando a mostrare è dovuto al consolidamento della mia idea di Gibilrossa. Gibilrossa è un luogo reale, una casa in alto su Palermo dove vivo saltuariamente e dove ho trascorso tutto il primo lockdown in completa solitudine, momento in cui ho deciso di iniziare a rendere pubbliche le mie canzoni. Quel periodo è iniziato esattamente mentre ero ad Indigo, lo studio di Fabio Rizzo, per registrare i primi brani. Il passare così tanto tempo da solo con le sole canzoni a cui lavorare mi ha fatto convincere che quello fosse il momento giusto per portare Gibilrossa, anche se virtualmente, nel mondo e nelle cuffie di conoscenti e non.

Cosa influenza la scrittura dei tuoi testi?
I testi che scrivo sono sempre molto istintivi, butto giù un’idea e da lì si sviluppa un racconto ed una canzone. Non ci lavoro molto a livello di metodo. Non è mai successo che mi sedessi e dicessi “ok ora scrivo una canzone su questo argomento”, è sempre arrivato molto spontaneamente. Ciò che influenza più di tutto sono sicuramente le relazioni di coppia e le esperienze più o meno vissute direttamente. Dico più o meno perché anche i romanzi e le opere letterarie in genere hanno un ruolo molto importante. Ho scritto tante canzoni che ne sono ispirate direttamente ed altre che ne sono invece personali interpretazioni in musica.

È uscito da poco il singolo “Accettando Tutto”, che storia ci racconta?
Accettando Tutto” racconta una storia di circolarità degli eventi e della volontà di accettare il nuovo come fosse qualcosa di già vissuto, anche se con colori e forme diverse. In particolare il testo è venuto dalla trascrizione di un sogno che feci un fine agosto di alcuni anni fa. Ero nel mezzo della lettura di “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche e l’inizio di una relazione che è poi diventata fondamentale per me e la nascita di tante canzoni. “Accettando Tutto” non è praticamente mai cambiata nella struttura e nel testo, poi con Fabio le abbiamo dato un vestito finale che rispecchiava la mia idea iniziale. L’ho sempre pensata tra i Fleet Foxes e Ben Howard passando per Bon Iver.

Stai lavorando a nuovi brani per un futuro disco?
Il disco è relativamente a buon punto, c’è un gruppo di canzoni che sono pronte ed altre che stanno prendendo forma. A queste ho lavorato negli ultimi mesi anche grazie alla collaborazione con Manuel Volpe di Rubedo Recordings, ma hanno ancora bisogno di tempo!

La tua Torino musicale e non.
Torino per me è stata la scelta di seguire un’idea, inizialmente non c’era nulla che mi portasse qui se non un sentimento che voleva essere vissuto. In ogni caso è da tanti anni che la città in un modo o nell’altro “mi chiama” e per ora ho deciso di provare ad ascoltare la sua voce. A livello musicale per me oggi Torino ha un nome gigante, e questo nome è Andrea Laszlo De Simone. Poi sicuramente ci sono tante belle cose sia consolidate e altre che penso, e spero, esploderanno. Anche se in modo molto diversi penso alla Rhabdomantic Orchestra dello stesso Manuel Volpe, oppure Roncea del quale ho amato il primo disco, o anche Fusaro che si sta confermando una bella penna.

Teatri e cinema chiusi, la musica confinata alle cuffie. Come vivi da artista questo difficile momento per la musica?
È difficile e sconfortante. Far uscire una canzone dovrebbe significare anche avere un pubblico a cui presentarla e raccontarla nei suoi particolari, durante un concerto o in una situazione analoga. Essere privati del contatto fisico e di scovare, negli occhi di chi ti ascolta, se si è creato un legame che va oltre l’ascolto è qualcosa che non si può recuperare con un live streaming o qualsiasi altra nuova tecnologia che ci inventeremo.

Federica Monello

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