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Eventi | 15 dicembre 2021, 07:11

Tra il fiabesco e il fumetto: Roberto Abbiati mette in scena il "processo di Kafka"

Una nuova produzione TPE in collaborazione con Fondazione TRG. Il regista Morganti smonta e ricompone il celebre romanzo dello scrittore praghese in una versione senza parole affidata al talento del protagonista

Tra il fiabesco e il fumetto: Roberto Abbiati mette in scena il "processo di Kafka"

Nell’ambito delle Stagioni 21.22 di TPE e TRG, da giovedì 16 dicembre 2021 approda presso gli spazi della Casa del Teatro Ragazzi e Giovani Circo Kafka, il nuovo lavoro di Claudio Morganti, che dirige sulla scena Roberto Abbiati. Lo spettacolo è frutto dello sforzo produttivo di Teatro Metastasio di Prato e TPE – Teatro Piemonte Europa e rimarrà in scena fino a domenica 19 dicembre.

Il "grande irregolare" del teatro italiano questa volta decostruisce e ricompone un altro testo capitale della letteratura occidentale, sinistramente profetico delle pagine più buie del Novecento e diventato archetipo universale della nostra condizione umana: Il processo di Franz Kafka. Qui si affida a uno dei maggiori artisti della scena italiana, un attore con una pratica artistica art brut fra i più interessanti di questo tempo. Roberto Abbiati è un creativo capace di esprimersi, oltre che con un incredibile potenziale mimico, anche attraverso il segno grafico, quello scultoreo, quello concettuale, arrivando ad assemblaggi di rara bellezza.

La restituzione scenica del testo di Kafka qui è senza parole. Una finissima partitura di piccole farse ed episodi fatta solo di gesti, suoni, rumori e oggetti attraverso una mimica semplice e poetica, sempre in bilico tra una trasognata levità e l’inquietante ineluttabilità dell’insensata storia raccontata. Lo spazio scenico è un surrogato di circo, costruito artigianalmente da Abbiati e Morganti pezzo per pezzo, utilizzando oggetti e materiali di recupero. È pieno zeppo di studiatissime cianfrusaglie che assumono forme diverse e su cui domina un letto, sovrastato da una testata decorata con un gatto che urla, con accanto un abat-jour, la ruota di una bicicletta, un contrabbasso, una sedia, una stampella.

Questa matassa giocosa sembra il residuato di una vecchia casa abbandonata da un secolo, oggetti inutili, brutti e inutilizzabili, eppure, la scenografia dialoga continuamente con lo spettatore, diventando tribunale, camera da letto e camera mortuaria con microscopici interventi di illuminotecnica e meccanica.

Abbiati di volta in volta è poliziotto, carceriere, giudice, accusato e accusatore, in un turbinio di facce, ammiccamenti, suoni registrati, strumenti suonati dal vivo – come il didgeridoo di Johannes Schlosser e la cornamusa suonata dallo stesso Abbiati – che ci arrivano come un vero e proprio discorso: un chiacchiericcio indistinto di segni che si fa teatro purissimo, dove i silenzi fanno parte integrante della partitura drammatica. Uno spettacolo di puro lirismo 'artigiano', per riflettere sulla giustizia e per ridere compassionevolmente sul senso di un processo ingiusto che riguarda tutti.

Daniele Angi

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