Tra l'incudine e il martello e per questo in ginocchio. Dopo quasi due anni di pandemia, i Circoli Arci ricevono l'ennesimo pugno nella bocca dello stomaco: il divieto di somministrazione all'interno delle sale in cui si svolgono spettacoli, rischia infatti di far chiudere per sempre realtà storiche. O quantomeno di impedirne, ancora una volta, una vera ripartenza.
Problema diffuso in tutta Italia
Il problema è diffuso in tutta Italia e riguarda quelle attività culturali a ingresso gratuito, i cui introiti sono principalmente legati a vendita di cibo e bevande. Solo a Torino sono 150 i circoli affiliati ad Arci, di cui una cinquantina con attività di somministrazione. A loro è vietato vendere e servire bevande nella stessa sala in cui è in corso un concerto, uno spettacolo o una qualsiasi esibizione. Per molti circoli "piccoli", con una sala sola, equivale a non lavorare.
Tagliati fuori dai ristori
E qui sta il paradosso. Perché mentre il Governo ha disposto la chiusura delle discoteche, i circoli Arci sono formalmente rimasti fuori da questa disposizione, pur non potendo di fatto lavorare. Il risultato? Le attività culturali, con codici Ateco differenti rispetto alla discoteche, sono tagliate fuori dai ristori. Ecco perché nei prossimi giorni Arci chiederà ristori immediati, visto che il provvedimento li limiterà (almeno) fino al 31 marzo.
"Primi a chiudere e ultimi a riaprire"
"La salute pubblica viene prima di tutto, non siamo tra quelli che chiedono di rimanere aperti a ogni costo. Ma abbiamo fatto sacrifici enormi, siamo stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire. Oggi questo divieto rappresenta per noi un problema: chiederemo con forza ristori per le associazioni culturali di tutta Italia" fa sapere Andrea Polacchi, presidente di Arci Torino.