Costruire un'alternativa al Cpr, perché a Torino non riapra mai più. E’ questo l’obiettivo del gruppo di lavoro costituto dall’assessorato alle Politiche Sociali, Asgi e dalla Garante per i diritti della persone private dalla libertà che, dal capoluogo, mira a far cambiare idea sui Centri di Permanenza per il Rimpatrio al Governo Meloni. E per farlo snocciola i numeri: “A Torino, nel 2022 il costo medio annuale per ospite è stato di 19.000 euro. Pensate se queste risorse fossero investite nella sanità…”.
I numeri del Cpr a Torino
Mentre il Cpr di corso Brunelleschi rimane chiuso e si progetta un suo ampliamento, i numeri presentati sembrano certificarne il fallimento: “Nel 2022 i transitati a Torino sono stati 879, di cui 199 provenienti dal carcere e 680 cittadini liberi. Sono stati investiti complessivamente 2,34 milioni di euro, di cui solo 629.000 per la manutenzione straordinaria”. Cifre esorbitanti, soprattutto se si pensa che il costo medio del rimpatrio è invece molto inferiore: 2.395 euro. E allora perché non si rimpatria? “Mancano gli accordi bilaterali con gli Stati”.
Cpr inumano?
Se i conti sembrano bocciare inesorabilmente il sistema Cpr, da Palazzo Civico arriva una dura condanna anche circa il rispetto dei diritti umani. “A Torino le persone rimangono chiuse in gabbie di 6 metri, per un massimo di 18 mesi: nel 2021 ci sono stati 120 tentativi di suicidio” attacca Monica Gallo, garante dei diritti delle persone private dalla libertà.
Chi punta il dito contro l’inutilità del Cpr nel reinserimento sociale delle persone è invece Jacopo Rosatelli, assessore ai Servizi Sociali del Comune di Torino: “E’ più facile integrare una persona che non passa attraverso l’esperienza traumatica del Cpr: trattenere uomini e donne in condizioni molto difficili e non consentirgli di mantenere i legami con la società fuori, significa rendere più difficile il reinserimento una volta usciti da quei cancelli”. Una posizione condivisa da Luca Pidello, presidente commissione legalità e diritti delle persone private della libertà: “E’ uno spreco di risorse. Non è vero che è necessario per la sicurezza della nostra città: l’esperienza è talmente traumatizzante che chi esce invece di essere più integrato ne esce radicalizzato”.
Le alternative proposte
Il gruppo di lavoro ha inoltre presentato alcune soluzioni per riuscire a individuare un modello costruttivo che superi quello della detenzione: la presa in carico dell’individuo da parte delle associazioni per valutarne la regolarizzazione o il rimpatrio volontario; le misure alternative invece che il trattenimento, la presa in carico di cittadini stranieri per il tempo di riconoscimento nelle camere di sicurezza della Città e il riconoscimento del cittadino straniero detenuto durante il periodo detentivo. “Le misure alternative al trattenimento già esistono, sono previste dalla normativa sull’immigrazione. Solo che non vengono applicate” ha affermato Laura Martinelli, Asgi.
La richiesta, nonostante il Governo voglia andare nella direzione opposta, è quella già contenuta nell’ordine del giorno approvato dal Consiglio comunale lo scorso 13 marzo: pensare a misure alternative e utilizzare le risorse risparmiate dalla riapertura del Cpr per politiche di inclusione sociale. Per non riaprilo mai più, almeno a Torino.