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Attualità | 22 giugno 2018, 16:04

Il Piemonte allo specchio dopo la crisi: più vecchio e con i giovani che restano a guardare

I ragazzi restano a casa, nonostante abbiamo studiato di più. E poi c'è una "bomba sociale" legata soprattutto agli stranieri, a serio rischio povertà

Il Piemonte allo specchio dopo la crisi: più vecchio e con i giovani che restano a guardare

Siamo usciti dalla crisi, ma con parecchie cicatrici e non pochi acciacchi. Il Piemonte che si specchia nella relazione annuale dell'Ires individua un sorriso migliore rispetto al passato. I parametri economici già evidenziati nei giorni scorsi da Banca d'Italia lo confermano. Però c'è pure qualche ruga in più, non solo per un invecchiamento più pronunciato, con poco ricambio tra le generazioni, ma anche per minore capacità di fare innovazione e un settore del terziario che ha saputo ripartire molto più lentamente rispetto al comparto manifatturiero.

Ma i numeri che spiegano bene come stiamo, dopo la crisi, sono quelli relativi alla società: gli under 25 sono più scolarizzati, ma vivono quasi tutti a casa con mamma e papà e faticano a trovare lavoro. E chi un impiego ce l'ha, è peggiore rispetto al passato (nonostante una laurea, magari). Si scatena dunque una concorrenza al ribasso che finisce per tagliare fuori una buona fetta di ragazzi, nonostante il dispendio di risorse impiegato dalle famiglie per gli studi.

Particolarmente difficile la situazione dei giovani stranieri, nonostante il 27% delle ragazze è già mamma mentre le italiane sono l'1,3%. Per loro, i gradini che faticano a salire i giovani nostri connazionali per loro diventano montagne da scalare. Sono loro che, in quasi la metà dei casi, diventano Neet. Una "bomba sociale", dicono gli esperti di Ires.

Tra i 25 e i 34 anni si identifica invece la "generazione della crisi", che li ha investiti in pieno. Si formano famiglie, ma con enormi differenze di presenza di figli (le straniere sono mamme al 70%, le italiane al 30) e di scolarizzazione.

Il lavoro tende a stabilizzarsi. Per chi ce l'ha. Per gli altri invece cresce la disoccupazione (anche in questo caso sono le donne straniere a svettare, anche se stavolta in negativo). È qui che si innesca una bassa partecipazione è un rischio spirale della povertà.

Tra i 35 e i 49 anni si perdono colpi. Anche se più scolarizzati dei loro predecessori e con famiglie più diffuse, cala la partecipazione al lavoro. Pure qui, gli stranieri sono in coda alla classifica, mentre nel 2005, pre crisi, erano quasi alla pari.

Gli over 50 sono invece i protagonisti più attivi del lavoro. Le famiglie si scompongono (c'è chi rimane solo e i figli se ne vanno), ma si sono registrati più assunzioni e più lavoro. Allo stesso tempo però, con la crisi sono aumentati anche i disoccupati. E qui c'è un'altra criticità, visto che ci sono anche meno strumenti per aiutarli rispetto al passato. E se per i giovani la famiglia fa da welfare, per le persone oltre la mezza età invece amplifica i problemi.

Massimiliano Sciullo

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