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Eventi | 18 gennaio 2019, 08:45

Un cerchio per esprimere le diverse culture: Arte Migrante si prepara a viaggiare per Torino

Stasera riprendono in via Ormea gli incontri settimanali del gruppo, ma per il 2019 si sta valutando l'espansione dell'iniziativa in altri quartieri

Un cerchio per esprimere le diverse culture: Arte Migrante si prepara a viaggiare per Torino

Molti di loro non hanno esperienze artistiche pregresse, anzi, si lasciano semplicemente andare, accompagnati dal flusso energetico che scorre tra le vene dei presenti. Ma, anche senza grosse pretese performative, quando nella stanza risuonano versi che, come un poema epico, narrano la tragedia della guerra in Siria, o il viaggio della disperazione per mare dall’Africa a qui, ecco che nasce la magia. Tutto questo è Arte Migrante, che da circa cinque anni propone a San Salvario incontri serali settimanali, a venerdì alterni, per condividere seduti in cerchio le più svariate forme d’arte e d’espressione in nome dell’arricchimento e dello scambio culturale.

L’attività del gruppo riprende stasera, dopo la pausa delle festività, nella sede abituale di via Ormea 4, ospitata all’interno dell’oratorio San Luigi. E sembra preannunciarsi un anno ricco di novità, con la possibile nascita di una vera e propria associazione di Arte Migrante e l’espansione degli appuntamenti anche al di fuori di San Salvario, approdando in altri quartieri di Torino.

Col tempo si è creata una comunità in tutto e per tutto”, spiegano alcuni membri del coordinamento, che hanno vissuto l’evoluzione di Arte Migrante a partire da quella prima esperienza sotto i portici di via Nizza, nel 2014, ispirata all’iniziativa nata a Bologna due anni prima. “La rete solidale è molto forte: quando emergono bisogni o esigenze delle persone, facciamo tutto il possibile per aiutarli”. E si tratta per lo più di ragazzi tra i venti e i trent’anni, che cercano di integrarsi nella società pur scontrandosi con difficoltà lavorative e relazionali. Per questo l’arte – suonare uno strumento, leggere le proprie poesie, cantare una canzone anche stonata – può fare da supporto, sbloccando le inibizioni e favorendo un clima di accoglienza e fiducia reciproca.

Ogni serata è suddivisa in tre momenti: le presentazioni iniziali, con un gioco collettivo per rompere il ghiaccio, la cena condivisa in cui ognuno porta qualcosa o si recupera l’invenduto del territorio, e, infine, il momento delle performance. Seduti in cerchio, tutti diventano parte attiva dell’esibizione, sentendosi coinvolti anche se la lingua impiegata è completamente sconosciuta. “È raro trovare tutta questa varietà altrove - commenta Gabriella Cenere - e adesso che l'ho sperimentato, posso testimoniare quanto sia bello l'incontro fra cultura diverse". Una moltitudine data anche dalla partecipazione numerosa, con circa 100/150 “artisti” a ogni serata, che spesso non si accorgono del tempo che passa, godendosi quel clima familiare tipico di un ambiente protetto e sicuro.

Nel nostro coordinamento – racconta Dawit Borio, originario dell’Etiopia – tutti si sentono responsabili della buona riuscita dell’evento. È bello agire, mettersi in discussione. Quando sono entrato nel gruppo per la prima volta, mi hanno chiesto di fare qualcosa in mezzo a quel cerchio, e io all’inizio non avevo idee. Capita spesso che uno si chieda: ma io cos’ho da dire a queste persone? Ma la verità è che tutti crediamo che le aspettative comuni della gente rispetto all’arte siano sempre molto alte, perché è questo il messaggio che ci viene comunicato dalla società. Qui, invece, è bello liberarsi dei soliti canoni: non importa se non sai cantare, ma voglio sentire cosa stai cercando di trasmettere con quello che fai”. Ed è solo così che si frantumano i pregiudizi, abbattendo le barriere, accogliendo tutti nel cerchio, senza escludere nessuno. Un po’ com’è successo a Ventimiglia la scorsa estate, dove Arte Migrante ha coinvolto i profughi trattenuti nel tentativo di attraversare la frontiera e raggiungere la Francia. “Tutti si sono messi a ballare danze tradizionali – ricorda Dawid – valorizzando ciascuno la felicità dell’altro”.

Adesso l’obiettivo è far “migrare”, appunto, questa modalità di interazione per i quartieri. “Vorremmo trovare degli agganci con altri territori – spiega Francesco Miacola – facendoci conoscere dagli abitanti per coinvolgerli nelle nostre serate. Alimentiamo così il concetto di rete, in cui crediamo molto, inserendoci in quelle zone particolarmente variegate e, in un certo senso, difficili come San Salvario”. Un cerchio itinerante che esorcizza la paura e scaccia via l’amarezza rispetto agli attuali tempi bui: “prevale l'inclusione – conferma Dawit – e l’insicurezza ce la lasciamo alle spalle”.

Manuela Marascio

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