/ Economia e lavoro

Economia e lavoro | 18 dicembre 2020, 19:25

Pininfarina Engineering, al referendum vince il "Sì" (68,5%), ma i sindacati si spaccano

La maggioranza dei lavoratori ha approvato l'accordo con l'azienda, tuttavia solo Fim ha firmato, mentre Fiom e Uilm non lo hanno fatto

Presidio alla Pininfarina engineering

Presidio alla Pininfarina engineering

Alla fine referendum è stato: i 115 lavoratori di Pininfarina Engineering hanno votato l'ipotesi di accordo con l'azienda che - dopo settimane di scioperi e trattative - poneva sul tavolo 12 mesi di cassa integrazione straordinaria, la ricollocazione a gennaio di 30 persone presso la capogruppo Pininfarina spa, la ricollocazione (nello stesso mese) di altre 45 persone presso aziende collegate e per le restanti 40 persone un percorso di outplacement che, in caso di disoccupazione, vede anche un incentivo economico all'esodo (con accordo tombale) arrivato a 20mila euro lordi.

Il "Sì" ha ottenuto il 68,5% dei consensi degli aventi diritto. Ma dopo un percorso di trattativa unitario, soltanto la Fim Cisl ha siglato l'accordo al tavolo che si è tenuto nel tardo pomeriggio presso l'Amma di Torino. Fiom e Uilm, come già preannunciato nei giorni scorsi, quando ormai la soluzione del refedendum sembrava l'unica possibile, non hanno firmato l'accordo.

"Responsabilmente e coerentemente all’esito referendario e in linea con i lavoratori, abbiamo firmato a garanzia di tutti - dice Arcangelo Montemarano, di Fim Cisl -. Il mancato accordo avrebbe generato il licenziamento della totalità dei dipendenti e non avrebbe rispettato il voto democratico espresso".

"Da oggi si apre una fase di gestione e controllo dell’accordo sul rispetto di quanto da noi sottoscritto - aggiungono da Fim -. Incalzeremo la Regione poiché dovrà fare lo stesso, visto le garanzie espresse in fase negoziale. La vicenda di Pininfarina Engineering rimane una brutta pagina di storia lavorativa del nostro territorio che non appare più in grado di ritrovare la mission che Torino ha sempre avuto, ovvero quella industriale e manifatturiera".

"E' un modo avvilente di affrontare una crisi del territorio, c'è più tristezza che rabbia - commenta Ugo Bolognesi, di Fiom Cgil -. E se la responsabilità maggiore è dell'impresa, anche le istituzioni hanno la loro fetta. I lavoratori sono vittime: non si possono costringere a votare su quelli che comunque erano licenziamenti e non hanno potuto fare altro che subire la situazione. L'esito rispecchia la porzione che spera di essere tra quelli che saranno reintegrati, mentre chi ha votato no evidentemente pensa già di essere fuori. E chi sarà reintegrato, comunque, non ha alcuna garanzia su quello che succederà". "Non riconosciamo questo esito - aggiunge -, ma proseguiremo anche per le strade necessarie visto che parte delle attività prosegue. Le multinazionali fanno i loro interessi, ma è triste che le istituzioni, così come le associazioni datoriali, le lascino fare".

"Ci sono elementi della vicenda che gridano vendetta - dice Cono Meluso, di Uilm -: non si può sottoporre a referendum un qualcosa che non mette tutti sullo stesso livello. Non si mette i lavoratori gli uni contro gli altri. Inoltre, firmando questo accordo si interrompe la trattativa con 30 giorni di anticipo, durante i quali si poteva ottenere magari qualcosa di meglio per i lavoratori. Infine, così facendo perdono due mesi e mezzo di retribuzione piena, visto che la cassa parte da inizio novembre invece che da gennaio, quando sarebbe finita la procedura".

Massimiliano Sciullo

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A GIUGNO?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare 2024" su Spreaker.
Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore|Premium