Smart working? Non fa per le aziende artigiane. Non fanno il mestiere adatto per rendersi "virtuali", ma soprattutto non hanno i numeri per rendersi agili, nonostante la nuova legge elaborata dal Governo. Lo rivela un'indagine di Confartigianato Torino, che dimostra come oltre il 90% delle pmi di categoria non aveva preso in considerazione lo smart working prima della crisi sanitaria;, ma soltanto il 15% del campione lo utilizzerà in futuro.
La spiegazione arriva dal presidente di Confartigianato Torino, Dino De Santis: “Le micro e piccole imprese artigiane non sono nella condizione di poter usare il lavoro agile non solo per la tipologia di lavoro che svolgono, che necessita un contatto con i clienti o un servizio a domicilio, ma anche per la dimensione stessa dell’impresa che spesso conta un solo addetto oltre il titolare”.
I numeri della ricerca: le dimensioni contano
Insomma: non ci sono i numeri. E quelli che ci sono, dimostrano che il matrimonio non s'ha da fare. Se da un lato per le grandi imprese organizzate e strutturate il passaggio verso lo smart working è utilizzato da oltre 8 imprese su 10 per le piccole e medie imprese la transizione verso il lavoro agile coinvolge solo il 50%. Ma solo il 15% delle imprese artigiane torinesi ha dichiarato di voler proseguire l'esperienza anche a crisi terminata.
“Un chiaro scetticismo - commenta De Santis - motivato dal fatto che la maggioranza degli artigiani lavorano nell’edilizia, nella metalmeccanica, sono installatori, autoriparatori, lavorano nel settore benessere, del food d è ovviamente per loro impossibile svolgere l’attività da remoto. Nella manifattura lo smart working non è praticabile”.
E per quanto riguardano le nuove regole, l'artigianato torinese sottolinea criticità “sugli aspetti riguardanti la salute e sicurezza sul lavoro con riferimento ai quali Confartigianato aveva chiesto misure di semplificazione - conclude De Santis - Voglio ricordare che per l’artigiano il collaboratore è un patrimonio da tutelare”.