La GAM di Torino è felice di presentare la mostra dedicata a Vincenzo Agnetti (Milano, 1926 - 1981), quinto appuntamento del ciclo espositivo nato dalla collaborazione tra l’Archivio Storico della Biennale di Venezia e la VideotecaGAM e volto a testimoniare la stagione iniziale del video d’artista italiano tra anni Sessanta e Settanta.
L’esposizione, aperta dal 22 febbraio al 12 giugno, affronta attraverso poche, irrinunciabili opere un aspetto centrale del lavoro di Agnetti: la sostituzione tra parola e numero come ultimo grado di analisi critica e azzeramento del linguaggio. Il tema emerge nelle sue opere a partire dal 1968 con la realizzazione della "Macchina drogata", una calcolatrice che traduce i numeri digitati in sequenze di lettere che si combinano senza alcun significato.
Nell’esposizione un’opera della serie "Assiomi", realizzata nel 1969, mostra sotto una sequenza di lettere rovesciate ed elevate a diversi valori numerici, una frase incisa: "Quando le parole si elevano a valori di numeri i numeri valgono le parole". L’uno e l’altro codice, lettere e numeri, si trovano in posizione di simmetrico rispecchiamento, visivo e concettuale.
Il tema della permutabilità di parole e numeri giunge a compiuta espressione nel 1973, anno di realizzazione del video presentato in mostra, "Documentario N.2", girato da Vincenzo Agnetti presso il suo studio a Milano. Nell’arco di pochi minuti si assiste al passaggio dalla messa in scena dei più tipici codici didascalici del linguaggio documentario all’ermetico prodursi della voce dell’artista che pronuncia un discorso fatto unicamente di numeri e diverse intonazioni espressive, mentre le immagini passano dalla ripresa fissa di una sequenza numerica trasformata in pattern visivo allo schermo nero fino a che, in quel buio, il suono si interrompe come per l’improvviso incepparsi di un nastro audio.
Il video, come e ancor più del libro d’artista, offre ad Agnetti la possibilità di sovrapporre, e così elidere, più linguaggi e più elementi: immagini e buio, testo parlato e scritto, lingua italiana e inglese, numeri arabi e forme geometriche, nitide riprese in movimento e immagini sfocate a camera fissa, dettagli di opere dell’artista inframmezzati a oggetti e strumenti di lavoro. Tutto si mescola, tutto si contraddice e nello stacco tra l’uno e l’altro elemento contrapposto, si fa largo la percezione del vuoto sottostante.
Il 1973 è anche l’anno di realizzazione di "Frammento di Tavola di Dario tradotto in tutte le lingue", dove l’evocazione di un passato abissale si presenta con i caratteri della scrittura cuneiforme per confrontarsi con una sequenza numerica, linguaggio del presente tecnologico. La linea di confine tra l’una e l’altra immagine è uno iato nel tempo che rende ancor più profondo l’evidente tradimento che si nasconde nella promessa di una traduzione universale. L’opera nella sua semplice ieraticità è la rovesciata Stele di Rosetta che l’artista ci consegna per scardinare di ogni passato e futuro linguaggio la presunzione illusoria di possedere le chiavi del significato.