Da che mondo è mondo, la figura della suocera viene sempre associata a pregiudizi e stereotipi che la dipingono come pettegola, impicciona, gelosa, maligna e chi più ne ha più ne metta.
L'incubo di nuora e genero, insomma.
Ovviamente - e per fortuna - non è sempre così, ma in Piemonte, e in particolare a Rocchetta Tanaro in provincia di Asti, è stato inventato un prodotto che, per il nome, ha preso proprio spunto dai cliché che, da sempre, vi si associano: la lingua di suocera. Che, secondo i luoghi comuni, è "lunga". Cioè, stando alla definizione riportata sul nuovo dizionario De Mauro: "tendente alla loquacità, al parlare troppo, rivelando cose o fatti che andrebbero tenuti nascosti."
Allo stesso modo, anche questo alimento tradizionale dell'arte bianca piemontese è grande: si parla, infatti, di 50 cm di lunghezza per 15 di larghezza, per uno spessore estremamente esiguo e tale da donare croccantezza e friabilità al prodotto finale.
La lingua di suocera viene preparata con gli stessi ingredienti dei grissini, ossia farina, malto, sale, lievito madre, olio e strutto.
L'impasto viene creato e lavorato in tre tempi: dapprima si uniscono farina, acqua e lievito madre e l'amalgama che si crea viene fatta lievitare. Poi si aggiungono farina ed acqua e si fa nuovamente lievitare, e infine ancora acqua e farina e si lascia ancora crescere. La massa così ottenuta viene suddivisa in panetti di 40 grammi circa che vengono stesi al fine di raggiungere le dimensioni tipiche, e successivamente vengono cotti in forno per una decina di minuti.
Citata sin dal 1700 in diversi testi storici, la lingua di suocera recentemente è stata riconosciuta come Prodotto Agroalimentare Tradizionale ed è un ottimo accompagnamento di salumi, formaggi e numerosi altri cibi.