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Cultura e spettacoli | 07 aprile 2020, 19:26

"La risposta alla deriva distopica viene dai circoli indipendenti: Arci Torino crede nel cambiamento" [INTERVISTA]

Il coordinatore delle attività culturali Luca Bosonetto: "Spero che la politica arrivi a considerare maggiormente il comparto diffuso sul territorio, perché da lì passa un canale fondamentale di aggregazione di base, produzione e distribuzione della cultura"

"La risposta alla deriva distopica viene dai circoli indipendenti: Arci Torino crede nel cambiamento" [INTERVISTA]

Luca Bosonetto, allo scoppiare dell’emergenza Coronavirus, Arci ha risposto lanciando una campagna di “solidarietà e resistenza culturale”: cosa significa e in che genere di attività si è strutturata?

Siamo stati i primi, come attività culturali, a essere colpiti dal decreto di inizio marzo e siamo stati i primi a dover riorganizzare la nostra attività, ragionando su come proseguire. In accordo con Arci nazionale abbiamo deciso di promuovere una campagna virale che parlasse alla cultura, alla società e alle condizioni di vita delle persone, compromesse dalla crisi. Quindi, da una parte, ci siamo occupati di ristrutturare i servizi di contrasto alla povertà alimentare attraverso il nostro progetto Fooding, che adesso conta quattro centri, con l’obiettivo di incrementare la distribuzione pasti in questa fase emergenziale. Poi è iniziata una miriade di iniziative sul web, dalle più leggere alle più importanti: ogni associazione affiliata al nostro comitato - ne contiamo circa 160 - ha voluto fare qualcosa utilizzando gli strumenti online, chi con le lezioni a distanza per bambini, chi con il servizio di assistenza al personale sanitario, fino agli spettacoli musicali in streaming. 

Cosa rappresenta la chiusura per i circoli torinese, sia a livello economico, sia in termini di programmazione di eventi?

La situazione è in continuo aggiornamento, non abbiamo orizzonti certi di riapertura ed è probabile che i nostri spazi saranno tra gli ultimi a poter riprendere l’attività. Ma ci tengo a dire che i circoli, dove avvengono concerti, eventi e rassegne teatrali, anche prima che il decreto ordinasse la chiusura definitiva degli spazi, avevano deciso di sospendere l’attività e l’accesso al pubblico. Per quanto riguarda le perdite, ovviamente parliamo di centinaia di migliaia di euro di danni. Ma va detto che noi rappresentiamo il no profit della cultura, e il primo danno che impatta sulla nostra esistenza è quello sociale, che riguarda la nostra comunità. Abbiamo tra i 60 e 65 mila soci che in questo momento sono nelle loro case e a cui manca l’elemento di socialità. Quindi, prima ancora di pensare al danno economico, ci preoccupiamo di questa dimensione.

Un aspetto non secondario riguarda il ruolo di aggregazione e socialità svolto da Arci. Secondo voi i vostri soci come stanno affrontando questa “mancanza”? Passata l’emergenza, contate di ripartire subito a pieno ritmo, o secondo voi ci sarà un po’ di timore o titubanza nella partecipazione agli eventi?

Credo che, come molto spesso capita, quando si viene privati di alcune cose di cui si fruiva nella quotidianità, poi se ne riconosce l’importanza. Questa crisi sanitaria è senza precedenti, ma può nascondere un’opportunità di riflessione anche su quanto debbano essere sostenute le attività culturali e gli eventi. Sicuramente è nato un pensiero, nel mondo della cultura italiana, che spero porti la politica a considerare maggiormente il comparto indipendente, quello dei circoli diffusi sul territorio, perché da lì passa un canale fondamentale di aggregazione di base, di produzione e distribuzione della cultura, spesso fuori dai radar istituzionali. Quando vengono a mancare i centri di nuova generazione, dove davvero si ibridano le discipline e si trovano le risposte più alternative, ci si rende conto della loro rilevanza. Servono senza dubbio delle risposte nuove da dare per la tenuta del sistema culturale ed economico del Paese. E un pezzo di risposta proverrà proprio da questi centri

Quali sono stati i vostri contatti con le istituzioni cittadine, dopo lo stop? Quali le richieste presentate per eventuali agevolazioni?

È successa una cosa molto bella, a fine febbraio, quando tutti gli spazi di pubblico spettacolo, compresi noi di Arci Torino hanno sottoscritto una lettera alla sindaca Chiara Appendino per chiedere sostegni e agevolazioni. Ora mi pare che, rispetto a tutto quello su cui abbiamo iniziato a farci avanti, stiamo arrivando le prime, tiepide risposte. Saremo convocati, nel giro dei prossimi giorni, a un tavolo per discutere le misure da prendere. Tra le proposte fatte, la prima è stata la sospensione degli affitti a chi ha gli spazi in concessione pubblica, ed è stata concessa. Ma vorremmo arrivare anche ad annullarli, per far sì che i soggetti interessati non si ritrovino pagare i canoni nel tempo. Abbiamo poi chiesto di lavorare sulla Tari, sulle imposte locali e le utenze. Intanto mi sembra che il governo abbia compreso la necessità affidare agli enti locali la governance della ricostruzione, per affrontare i vari nodi al meglio. Così come sono state stanziate delle risorse sulla solidarietà e l’emergenza alimentare, allo stesso modo forse si dovrà procedere sul piano culturale, trattandosi di specificità che cambiano da città a città. Con Anci, l’unione dei Comuni italiani, abbiamo cominciato a lavorare su questa prospettiva e abbiamo già pronte delle soluzioni. Inoltre abbiamo chiesto che tutti i progetti che avrebbero dovuto essere finanziati dalla pubblica amministrazione possano essere riprogrammati con accompagnamento del pubblico. Infine siamo stati convocati dagli assessorati per tutti i festival in cui Arci è coinvolto, come “Jazz is Dead”, che doveva svolgersi a maggio, ed è molto interrogato dai fatti. Sarà questa la vita che riusciamo a strategizzare il nostro essere sul territorio al meglio? Io mi auguro di sì. 

Da sempre Arci crea unione anche lanciando slogan e messaggi positivi, che sottolineano l’importanza della comunità. Adesso cosa vi sentite di dire?

Il messaggio è duplice. Da un lato, saremo impegnati affinché tutto torni come prima, impegnandoci a contrastare ogni deriva distopica, ogni controllo eccessivo delle nostre vite, di impossibilità nella socializzaizone. Vogliamo ricostruire un mondo in cui le persone possano di nuovo andare ai concerti e a teatro tenendosi per mano. Finché ci sarà possibile, noi saremo in campo per questo. Parte dell’orizzonte movimentista, a livello nazionale, sta insistendo su un concetto: non torniamo alla normalità perché la normalità era il problema. Ecco, io sono d’accordo. Il segnale di speranza è che una parte delle cose che non andavano bene prima, potrà cambiare. Impegniamoci tutti quanti a riflettere per non dare per scontato ciò che capita fuori dal nostro recinto. All’inizio dell’emergenza sanitaria, abbiamo visto palesarsi, in tante realtà produttive, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo in tutta la sua brutalità. E anche l’ambiente continua a essere un tema sensibile: i dati che segnalano l’inquinamento ora, in questo periodo di lockdown, ci danno risposte di un certo tipo. Il messaggio positivo è che la nostra organizzazione, come anche altre, devono avere il compito di non perdere queste riflessioni e provare a vivere più consapevolmente rispetto a quanto fatto negli ultimo decenni. Sul mondo della cultura forse solo adesso ci siamo un po’ svegliati: cominciamo a parlare del fatto che gli operatori culturali del nostro Paese hanno bisogno di un contratto nazionale, maggiori tutele e rappresentanze in politica, oltre a fronti comuni di rivendicazione. Insomma, ci impegniamo tutti a fare tesoro di quanto maturato durante questa emergenza. 

Manuela Marascio

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