Debutta venerdì 8 febbraio (e rimane in scena fino al 17 dello stesso mese) alle ore 21, allo Spazio Opi, in Corso Casale 46h, l’ultima produzione della Compagnia Genovese-Beltramo: BUON APPETITO.
Il testo di Michela Perriera vede in scena Viren Beltramo e Ettore Scarpa nel ruolo dei protagonisti; la regia è di Savino Genovese.
In un futuro prossimo -vicino o lontano, non è dato sapere-, un uomo e una donna si incontrano in una trattoria stile all you can eat, dove avvengono tutti i loro incontri. Non hanno nome, sono semplicemente LUI e LEI.
Entrambi sono stati sposati, entrambi hanno figli e saranno proprio questi gli argomenti principali delle loro conversazioni.
Incombente è la sensazione di dover essere felici e ottimisti a tutti i costi e, con il prosieguo dell’azione, si scoprirà che è vietato essere tristi o malinconici e che esiste una sorta di ‘esperto’ incaricato di verificare il tasso di spensieratezza dei singoli e, laddove le due/tre pastiglie dell’ottimismo, che ciascuno deve assumere quotidianamente per mantenere in equilibrio il buon umore, non siano sufficienti, interviene per ‘correggere’ la stortura con un’iniezione concentrata che rimette immediatamente a posto la situazione, con una reazione potentissima che mette il ‘malato’ in condizioni di ridere per un giorno e una notte intera, prima di tornare allo stato di ‘allegria’ corretto.
Un futuro distopico dove le relazioni umane faticano a instaurarsi e quando ciò avviene hanno l’obbligo di virare sui toni della ‘felicità’ e dell’allegria.
Un mondo che si fonda sull’apparire: dove l’essere umano è controllato l’individualità con la sua complessità di sentire non solo non è riconosciuta come valore ma è fortemente contrastata. Un appiattimento che investe sentimenti e emozioni: i due protagonisti, apparentemente nel pieno di una storia amorosa, faticano a trovare le corde per esprimere questo sentimento, essendo costretti da un modello a cui aderire.
Una sorta di favola nera in cui gli esseri umani sono circondati da un manipolo di macchine e robot che interagiscono continuamente con loro, a volte assumendo le identità degli umani con cui si interfacciano; un mondo dove si mangia in continuazione -idee di cibo o suggestioni di gusti per lo più-, ma dove le relazioni si consumano davanti a un piatto, e dove l’ossessione del cibo e del mangiare, è continuamente presente.
Un mondo, quello a cui assistiamo, dove le preoccupazioni di una madre e di una donna, vengono trascurate e minimizzate.
Un testo che cita il mondo immaginato da Bradbury in Fahrenheit 451 ma poi devia verso un epilogo crudele.