Carisma, decisione, attenzione, queste alcune delle caratteristiche che un buon giocatore della morra deve avere. Qualità che non mancano ai giocatori valligiani che però sono rimasti spiazzati dal gioco dei valdostani e bresciani, arrivati ai primi posti, al campionato italiano che si è svolto sabato 6 e domenica 7 novembre, nei locali del museo Feltrificio Crumière di Villar Pellice.
“Che su tutta la Val Pellice nessuno si sia piazzato ai primi posti è strano, eravamo numerosi e tra di noi c’è gente forte” Manrico Geynonat, quarantenne bobbiese, è incredulo. Il trio composto da lui, Andrea Carignano e Luca Charbonnier, tuttavia, si è piazzato al terzo posto del torneo a terne, ma si è misurato con “un modo di giocare inoltre a cui non eravamo abituati – rivela –, e che abbiamo provato solo il venerdì precedente al campionato”.
A detta dei concorrenti, e del pubblico, quello che ha fatto la differenza è lo stile di gioco di valdostani e bresciani, diverso da quello diffuso in valle: “Tra i bresciani, ad esempio, c’è l’abitudine di attendere sempre un attimo in più prima di muoversi in modo da riuscire a vedere e sentire ciò su cui sta puntando l’altro giocatore” spiega Fredi Gallo, presidente della polisportiva bobbiese che ha organizzato il campionato.
Se lo scopo infatti è semplice: indovinare la somma dei numeri che i giocatori mostrano contemporaneamente con le dita di una mano, molteplici le sfumature che possono fare la differenza in una gara: “Ci sono comportamenti contestabili, come non dire in modo troppo chiaro il numero su cui si punta, o la parola che lo rappresenta – spiega Geymonat –. Fino ad arrivare ai trucchi di chi bara: come cambiare combinazione di dita o parola all’ultimo minuto, quando ormai l’altro si è già espresso”. Nella competizione, infatti, invece di pronunciare il numero si può scegliere una parola che lo rappresenta, utilizzando metafore o espressioni dialettali. Ogni regione ha i suoi modi di dire, ma nei campionati nazionali e internazionali si tende a usare termini uniformi. “Il dieci ad esempio è des ma anche, ad esempio, ‘tuta la piasa’ o ‘moura n’pien’, il sei invece può essere chiamato ses ma anche ‘sensa cugnisiun’” dettaglia Gallo.
Tipica delle feste di paese e delle transumanze, l’abitudine di sfidarsi a morra si è conservata in Val Pellice nonostante abbia saltato alcune generazioni, che hanno avuto poche occasioni di ritrovo in quanto gioco proibito dalla legge. “Noi abbiamo cominciato a giocare da giovani perché la chiesa di Bobbio Pellice ci ha dato al possibilità di farlo concedendoci una saletta – racconta Geymonat –, ma c’è stata una ripresa della tradizione tra i più giovani negli ultimi anni, da quando è stata fondata la Polisportiva Bobbiese”. Secondo le regole, infatti, si può giocare a morra solo se tesserati a una associazione come la Polisportiva che fa riferimento Federazione italiana giochi e sport tradizionali. “Oggi su sessantotto tesserati sono molti i giovani, il 30% infatti ha meno di 40 anni – rivela Gallo –. E si tratta di un trend in salita: i giovani giocano perché abbiamo degli anziani pazienti che li aiutano a crescere non in tutte le regioni italiane hanno la stessa fortuna”.
Tuttavia con il susseguirsi delle generazioni è cambiato anche il modo di giocare: “Lo stile degli anziani è diverso da quello attuale perché in passato si puntava a vincere. Magari si scommetteva un po’ di denaro in situazioni di povertà ed è naturale che il clima fosse più teso – racconta Geymonat –. Ora lo spirito è sportivo: per noi l’importante è fare una bella giocata in modo onesto”. “Non è più considerato un gioco da piola, da ubriaconi, ormai la morra è uno sport – gli fa eco Gallo –, che ha la capacità di affinare le caratteristiche fisiche e intellettuali”.