Il marito non la lascia lavorare e una volta ogni tanto le mette in mano la “paghetta” mensile. E a fare la spesa l'accompagna sempre lui, non per aiutarla, ma per controllare quello che ripone nel carrello. È solo uno dei tanti casi di abusi e sopraffazioni psicologiche subite dalle donne, e di cui troppo poco si parla nelle cronache quotidiane, monopolizzate dai femminicidi veri e propri.
Si chiama “violenza economica”, sottile e impercettibile, ed è la progressiva privazione di ogni mezzo di autosostentamento che una moglie o una fidanzata possiede per vivere: la ferrea volontà, da parte dell'uomo, di esercitare la propria supremazia imponendo alla compagna di rinunciare a ogni bene – materiale o affettivo – abnegandosi totalmente per lui.
Gli sportelli d'ascolto presenti a Torino di “storie” del genere ne accolgono tante. Ma non abbastanza. Perché il timore di esporsi, di fidarsi degli altri, di tradire l'uomo con cui si condivide il letto, è ancora largamente diffuso.
Lo dimostra la difficoltà riscontrata dalle avvocatesse che operano a Mirafiori, negli spazi riservati alle consulenze legali per le donne.
Katia Lava, dell'associazione Amaryllis, dal maggio 2017 lavora in uno sportello alla Casa nel Parco di via Panetti; al momento, segue solo due casi - violenza domestica e sfruttamento della prostituzione - in cui sono coinvolte famiglie italiane, segnalate dai servizi sociali. “È ancora molto difficile che le persone si aprano e vengano spontaneamente a cercarci”, spiega. “Si tratta di un quartiere molto chiuso, dove la comunità resta compatta, senza troppe interazioni con l'esterno. Quindi anche i casi di violenza non vengono divulgati così liberamente”. La stessa associazione ha anche uno sportello attivo alla Casa del Quartiere di San Salvario: “Lì è più facile, la popolazione è molto più varia e in movimento. È anche un tipo di utenza diversa, con una forte presenza di stranieri, dove subentrano altre questioni delicate, come la differenza culturale”.
La mancanza di un adeguato supporto all'attività svolta è denunciato anche dalle avvocatesse del progetto Donne Invisibili, nato all'interno dello Spazio Donne della Cascina Roccafranca. Marta Dassano, civilista, e Giuseppina Paragano, penalista, hanno inaugurato lo sportello lo scorso dicembre, ma sono attive nel quartiere già da molti anni. “Manca una vera rete con il territorio”, spiegano. “Ci ritroviamo spesso a svolgere il nostro lavoro da sole, quando, invece, servirebbe un collegamento con diverse realtà locali, dagli psicologi ai consultori nelle Asl”.
Ma già l'approccio alle consulenze non sempre è lineare, data la diffidenza e la scarsa conoscenza che le donne generalmente hanno rispetto ai diritti di cui potrebbero usufruire. “Vorremmo che fosse ben chiaro il concetto di gratuito patrocinio: cioè la possibilità non solo di avere la consulenza legale gratis, ma di affrontare anche il procedimento penale, in caso di denuncia, senza spendere nulla, a prescindere dal reddito della persona”.
Perché è proprio il fattore economico a bloccare spesso le donne in una impasse apparentemente senza rimedio. “La violenza psicologica, come la privazione dell'autonomia economica, è molto più subdola e corrosiva di quella fisica”, spiegano. “Porta all'annientamento totale della donna, al suo isolamento rispetto al mondo lavorativo, le amicizie, la famiglia stessa. Così, quando vengono da noi senza neanche un soldo, sono disperate e non sanno dove andare in caso di separazione dal marito”.
L'appello degli sportelli antiviolenza è di sostegno, aiuto, collaborazione. Perché un qualsiasi avvocato che si occupi di queste tematiche, in un contesto “familiare” come le case del quartiere, deve svolgere un lavoro a 360°, totale: “Il nostro compito è quello di assistere le donne sotto ogni punto di vista. Quando parliamo con loro, non siamo semplicemente delle professioniste, ma dobbiamo creare empatia, dare loro conforto, farle sentire a loro agio. Perché la maggior parte delle volte hanno bisogno, prima di tutto, di qualcuno con cui poter finalmente parlare in libertà”.