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Cultura e spettacoli | 25 marzo 2019, 09:00

Quei viaggi in Medio Oriente tra guerra e umanità: le foto di Farian Sabahi al MAO [FOTO]

La mostra "Safar. Vite appese a un filo" è esposta al Museo d'Arte Orientale di Torino fino al 30 giugno 2019

Quei viaggi in Medio Oriente tra guerra e umanità: le foto di Farian Sabahi al MAO [FOTO]

Io non sono dell'Est né dell'Ovest. Ho riposto la dualità e visto i due mondi come uno”. Sono i versi del poeta Rumi a congedare l’animo del visitatore dopo aver compiuto il Safar, “viaggio” in lingua persiana, che dà il titolo alla mostra di Farian Sabahi esposta al MAO - Museo d'Arte Orientale di Torino.

Alla soglia dei cinquant’anni avevo alcuni progetti ancora da realizzare, tra cui questo”, spiega la giornalista e accademica esperta di Medio Oriente. Un allestimento nato per caso, grazie all’incontro fortunato con alcuni fotografi professionisti di Milano, che l’hanno convinta a raccogliere in una grossa valigia gli scatti realizzati tra il febbraio 1998 e la primavera 2005 durante le sue tante trasferte di lavoro in Libano, Siria, Iraq, Iran, Emirati Arabi, Azerbaigian, Uzbekistan e Yemen.

Un viaggio che non si dipana solo tra i confini nazionali, ma rappresenta soprattutto un’occasione di conoscenza, arricchimento, confronto con un mondo in trasformazione, attraverso mutamenti sociali o conflitti dilanianti, eppure sempre autenticamente umano nell’istantanea fragilità della fotografia.

Le immagini, che ritraggono uomini, donne, bambini, paesaggi, scorci di vita quotidiana, sono appese a delle lenze – simbolo marittimo in onore delle stragi nel Mediterraneo – con semplici mollette domestiche, che, come spiega Farian, “evocano la precarietà della vita in Medio Oriente e richiamano il gesto femminile dello stendere, molto familiare e intimo”. Così come appartengono al vissuto più tangibile i foglietti di taccuino su cui sono annotate a mano le didascalie, come frammenti di chilometri macinati a piedi, in auto, aereo, autobus.

L’occhio della reporter – dagli esordi con Radio Svizzera all’esperienza da freelance, tra gli altri, per il Corriere della Sera, IlSole24Ore, Io Donna, Il Manifesto - restituisce al visitatore un mondo complesso e misterioso, in alcuni casi vittima diretta di guerre sanguinarie, in altri portatore di cicatrici pregresse e mai rimarginate. Pagine di storia immortalate anche nel corso di tour con padre e figlio al seguito, spostandosi spesso con mezzi di fortuna e ospitati a casa di questa o quella conoscenza, sfruttando contatti, accompagnatori locali, intuito e sapere. 

L’installazione site specific della mostra rende il cubo nero nella stanza uno spazio atemporale in cui le fotografie si alternano come i ricordi nella mente. Una parete è totalmente dedicata ad alcuni articoli di giornale firmati da Farian, fissati in un’ipotetica bacheca di redazione, a narrare cronache di popoli, usi e costumi.

Non mi sono mai sentita straniera, in nessuno dei posti in cui sono stata. Mi accoglievano come una di loro. Né ho mai percepito il senso di pericolo”, racconta la giornalista di origini iraniane. Un “lasciapassare” naturale che le ha permesso di addentrarsi al meglio nelle sue ricerche, così come il visitatore è invitato a fare con gli occhi e l’udito, guidato dal tappeto sonoro che lega insieme i “pezzi” di Safar. Sono parole in arabo, italiano, francese, inglese e persiano, tra cui spiccano il Premio Nobel turco per la Letteratura Orhan Pamuk, Saddam Hussein, Pierpaolo Pasolini e ell’attivista yemenita Nobel per la Pace Tawakkol Karman.

Un viaggio che non conclude, ma si prolunga all’infinito nell’intreccio di narrazioni capaci di unire Est e Ovest tra cronaca e immaginifico.

La mostra è visitabile al MAO (via San Domenico 11) fino al 30 giugno 2019

Manuela Marascio

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