Dalla discussione della tesi al colloquio di lavoro. E' forse questo uno dei passi più complicati per le nuove generazioni. A volte traumatico, di certo il meno immediato. Anche se i dati diffusi da Almalaurea (il consorzio interuniversitario che studia la condizione occupazionale dei neo-dottori) dimostrano che chi esce da Università di Torino e Politecnico finisce per trovare con sufficiente semplicità un primo impiego. E che la differenza tra i due atenei non è poi così enorme.
Palazzo Nuovo e dintorni
All'interno del campione preso in analisi, la quota di laureati di cittadinanza estera all'Università di Torino è complessivamente pari al 3,7%: il 3,9% tra i triennali e il 3,7% tra i magistrali biennali. Il 20,7% dei laureati proviene da fuori regione: in particolare è il 13,1% tra i triennali e il 37,2% tra i magistrali biennali. Il 79% ha fatto un liceo (classico, scientifico, linguistico o altri), mentre il 16,8% ha un diploma tecnico.
L’età media alla laurea è 25,5 anni per il complesso dei laureati, nello specifico di 24,4 anni per i laureati di primo livello e di 26,8 anni per i magistrali biennali. Un dato su cui incide il ritardo nell’iscrizione al percorso universitario: non tutti i diplomati, infatti, si immatricolano subito dopo aver ottenuto il titolo di scuola secondaria superiore. Ma soltanto 6 su dieci terminano l'università in corso.
Il voto medio di laurea è 102,3 su 110. Più o meno la stessa "fetta" di studenti che durante il percorso universitario ha frequentato un tirocinio, mentre quasi il 12% ha avuto esperienze all'estero (con Erasmus). Oltre il 72% ha addirittura svolto un lavoro durante gli studi.
Guardandosi indietro, l’88,6% si dichiara soddisfatto dell’esperienza universitaria nel suo complesso. Il 71,3% dei laureati sceglierebbe nuovamente lo stesso corso e lo stesso Ateneo, se dovesse iscriversi di nuovo all'Università, mentre il 12,5% si riscriverebbe allo stesso Ateneo, ma cambiando corso.
Parlando però di lavoro, a un anno dal conseguimento del titolo, il tasso di occupazione (si considerano occupati, seguendo la definizione adottata dall’Istat, tutti coloro che sono impegnati in un’attività retribuita, di lavoro o di formazione) è del 78,2% tra i laureati di primo livello, mentre quello di disoccupazione (calcolato sulle forze di lavoro, cioè su coloro che sono già inseriti o intenzionati a inserirsi nel mercato del lavoro) è pari all’11,5%. Tra gli occupati, il 28,4% prosegue il lavoro iniziato prima della laurea, il 19,4% ha invece cambiato lavoro; il 52,1% ha iniziato a lavorare solo dopo il conseguimento del titolo. Il 23,5% degli occupati può contare su un lavoro alle dipendenze a tempo indeterminato, mentre il 38,7% su un lavoro non standard (in particolare su un contratto alle dipendenze a tempo determinato). Il 13,3% svolge un’attività autonoma (come libero professionista, lavoratore in proprio, imprenditore e così via).
Il lavoro part-time coinvolge il 29,7% degli occupati. La retribuzione è in media di 1.164 euro mensili netti. Solo il 55,7% gli occupati considera però il titolo che ha conseguito in ateneo molto efficace o efficace per il lavoro svolto.
Per i laureati di secondo livello, invece, a un anno dal conseguimento del titolo, il tasso di occupazione è pari al 73,4% e il tasso di disoccupazione è pari al 13,2%. Il 27,5% prosegue il lavoro iniziato prima della laurea, il 16,9% ha invece cambiato lavoro; il 55,6% ha iniziato a lavorare solo dopo il conseguimento del titolo. Il 21,2% degli occupati può contare su un contratto alle dipendenze a tempo indeterminato mentre il 37,2% su un lavoro non standard (in particolare su un contratto alle dipendenze a tempo determinato). Il 10,6% svolge un’attività autonoma. Il lavoro part-time coinvolge il 24,8% degli occupati e la retribuzione è in media di 1.236 euro mensili netti.
In questo caso, il 59% degli occupati ritiene la laurea conseguita molto efficace o efficace per il lavoro che sta svolgendo.
Il tasso sale se si analizzano i laureati dopo 5 anni. qui è l’88,1% ad avere un'occupazione, mentre il tasso di disoccupazione è pari al 4,5%. Le retribuzioni sono salite in media a 1.485 euro mensili netti e il 64,9% degli occupati ritiene la laurea conseguita molto efficace o efficace.
Il 69,2% dei laureati è inserito nel settore privato, mentre il 24,7% nel pubblico. La restante quota lavora nel non-profit 6%. L’ambito dei servizi assorbe l’82,6%, mentre l’industria accoglie il 14,9% degli occupati; l’1,6% lavora nel settore dell’agricoltura.
La casa degli ingegneri e degli architetti
Per quanto riguarda il Politecnico, invece, la quota di laureati di cittadinanza estera è complessivamente pari al 10,4%: l’8,1% tra i triennali e il 13% tra i magistrali biennali. Il 46,5% dei laureati proviene da fuori regione; in particolare è il 42,8% tra i triennali e il 50,8% tra i magistrali biennali. È in possesso di un diploma di tipo liceale il 77,1%, mentre il 13% possiede un diploma tecnico.
L’età media alla laurea è 24,7 anni per il complesso dei laureati, nello specifico di 23,5 anni per i laureati di primo livello e di 26,1 anni per i magistrali biennali. Anche in questo caso sul dato incide il ritardo nell’iscrizione al percorso universitario. Il 53,3% dei laureati termina l’università in corso e il voto medio di laurea è 98,9 su 110.
Il 44,4% dei laureati ha svolto tirocini riconosciuti dal proprio corso di studi, mentre il 17,7% ha compiuto un’esperienza di studio all’estero (soprattutto Erasmus). Il 52% dei laureati ha svolto un’attività lavorativa durante gli studi.
In generale, il 90,8% dei laureati si dichiara soddisfatto dell’esperienza universitaria nel suo complesso. E il 74,9% dei laureati sceglierebbe nuovamente lo stesso corso e lo stesso Ateneo, mentre l’11,7% si riscriverebbe allo stesso Ateneo, ma cambiando corso.
In termini occupazionali, l’84,1% dei laureati di primo livello, dopo il conseguimento del titolo, decide di proseguire il percorso formativo con un corso di secondo livello. Isolando quindi i laureati triennali del Politecnico di Torino che, dopo il titolo, non si sono mai iscritti a un corso di laurea (solo 15,5%), si scopre che a un anno dal conseguimento del titolo, il tasso di occupazione è del 75,3%, mentre quello di disoccupazione è del 12,7%. Tra gli occupati, il 21,7% prosegue il lavoro iniziato prima della laurea, il 19,5% ha invece cambiato lavoro; il 58,5% ha iniziato a lavorare solo dopo il conseguimento del titolo.
Il 26,4% degli occupati può contare su un lavoro alle dipendenze a tempo indeterminato, mentre il 27,1% su un lavoro non standard. L’8,7% svolge un’attività autonoma. Il lavoro part-time coinvolge il 12,3% degli occupati. La retribuzione è in media di 1.261 euro mensili netti. Solo 4 su dieci però considerano il titolo molto efficace o efficace per il lavoro svolto.
Tra i laureati di secondo livello del 2017, invece, a un anno dal conseguimento del titolo, il tasso di occupazione è dell’88,6%. Il tasso di disoccupazione è del 5,9%. Il 13,2% prosegue il lavoro iniziato prima della laurea, il 10,2% ha invece cambiato lavoro; il 76,5% ha iniziato a lavorare solo dopo il conseguimento del titolo.
Il 40,8% degli occupati può contare su un contratto alle dipendenze a tempo indeterminato mentre il 21,5% su un lavoro non standard. Il 6,8% svolge un’attività autonoma. Il lavoro part-time coinvolge il 3,9% degli occupati. La retribuzione è in media di 1.480 euro mensili netti. Il 65,6% degli occupati ritiene la laurea conseguita molto efficace o efficace per il lavoro che sta svolgendo.
A cinque anni dalla laurea, invece, il tasso di occupazione dei laureati di secondo livello è del 93,1%. Il tasso di disoccupazione è pari al 2,5%. Gli occupati assunti con contratto a tempo indeterminato sono il 68,6%, mentre gli occupati che svolgono un lavoro non standard sono il 9,4%. Svolge un lavoro autonomo il 17,1. Il lavoro part-time coinvolge il 3,4% degli occupati. Le retribuzioni arrivano in media a 1.725 euro mensili netti. Il 65,7% degli occupati ritiene la laurea conseguita molto efficace o efficace per il lavoro svolto.
Il 92% dei laureati è inserito nel settore privato, mentre il 7,1% nel pubblico. La restante quota lavora nel non-profit 0,8%. L’ambito dei servizi assorbe il 43,5%, mentre l’industria accoglie il 55,5% degli occupati; marginale la quota di chi lavora nel settore dell’agricoltura.