Gli studi di scenografia all’Accademia di Belle Arti di Torino, un viaggio nel nord Europa alla ricerca di nuove radici e poi l’ispirazione, in mezzo alla natura, tra le fronde degli alberi intrecciate in un sospiro dalla cadenza di endecasillabo. È nato circa cinque anni fa in Finlandia, nella città di Rauma, il progetto di Enrico Mazzone, artista trentasettenne, per celebrare i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri: il disegno a mano di alcune scene della Divina Commedia su un enorme rotolo di carta di 97 metri per 4, realizzato in forma di ciclorama, un tipo di intrattenimento popolare in voga tra XVIII e XIX secolo, capace di ricreare l'illusione di un paesaggio che circondasse completamente lo spettatore.
La tecnica adottata è quella del puntinato, lo stile si rifà alle antiche incisioni e litografie. Un’idea dettata dall’amore per il teatro e la rappresentazione scenica, dopo ferventi letture dei drammaturghi scandinavi, da Ibsen a Strindberg, unite alla fascinazione per i quadri di Edvard Munch.
“Sono arrivato a una soluzione che mi consente di legare la scenografia alla letteratura”, spiega Enrico, da diverse settimane “rinchiuso” in una sala parrocchiale della Chiesa Madonna di Fatima, al Fioccardo, dove sta lavorando al suo Paradiso dantesco prima di completare l’opera direttamente a Ravenna, luogo di sepoltura del sommo poeta. “Il disegno è pensato in modo tale da permettere all’osservatore di potersi sentire immerso in un vero e proprio stage, sfondando completamente la quarta parete ed entrando in contatto diretto con i personaggi raffigurati. Volevo che avesse un aspetto più dinamico, meno statico. Una sola parete lunga 100 metri, ad esempio, sarebbe stata poco avvicinabile; invece poterci girare attorno consente di sentirsi al centro di un mondo quasi medianico”.
“Ammetto che quanto rappresentato deriva da una suggestione del tutto personale della Divina Commedia - continua -. Ognuno, leggendola, ricava i messaggi e le immagini che sente di più, vede proiettate le proprie paure”.
Sul foglio, un unico piano prospettico che va a modificare la classica geografia dell’aldilà dantesco, adattandola, appunto, alle esigenze dello scenografo. Sono rappresentanti diversi complessi figurativi, secondo un ordine che prevede Purgatorio, Inferno e Paradiso in una visione circolare. "Ho scelto raffigurazioni più mitologiche e meno escatologiche - precisa Enrico -, tralasciando gli esempi tipicamente teosofici, non essendo un vero e proprio studioso del genere. Ho interpretato il viaggio dantesco dotandolo di un forte impatto visivo, in base alla mia sensibilità, cercando tuttavia di pescare nell’immaginario collettivo. Ho provato a creare un’armonia sistematica tra i vari complessi: angeli e diavoli sono concepiti come entità ciclopiche, corpi di quattro metri che si intrecciano, mentre Dante e Virgilio compaiono sullo sfondo. Volevo porre l’osservatore sullo stesso piano dei protagonisti, facendolo partecipare a questo grande carosello di figure. Anche il paesaggio ha un peso rilevante, come nella tradizione rinascimentale: assume un senso proprio perché incornicia degli elementi. Non essendoci un trucco scenico, come in teatro, serviva una sorta di deus ex machina che portasse lo spettatore a sentirsi sullo stesso piano di Minosse, Gerione, Ulisse, Aracne”.
Enrico lavora alla sua Divina Commedia circa otto ore al giorno, sdraiato su coperte e cuscini che tuttavia non attutiscono l’enorme sforzo fisico e mentale dato dalla postura e dalla concentrazione necessaria. A spingerlo a non mollare, malgrado diversi momenti di stasi creativa avuti negli anni, una passione fortissima e un amore autentico per una “creatura” nutrita e coccolata come cosa viva.
Tutto è nato nel 2015 circa da una vera e propria epifania, avvenuta in mezzo ai boschi finlandesi, facendo jogging. All’improvviso la vista degli alberi gli ha richiamato alla mente i versi danteschi sulla selva dei suicidi, nel tredicesimo canto dell’Inferno, dove i dannati sono trasformati in vegetali e fanno sgorgare il proprio patimento dal frusciare stesso delle foglie. Da lì, un ulteriore trasferimento in Groenlandia, l’emozione della notte artica, l’uscita “a riveder le stelle”, e la rilettura avida dei tre tomi della Commedia fatti spedire direttamente dall’Italia, tra schizzi e bozzetti preliminari. Il resto è alchimia.
“Resterò a Torino fino ad agosto - spiega Enrico -, poi, tra settembre e ottobre, incontrerò il team di lavoro ravvenate, formato da Marco Miccoli e Giovanni Gradini, grazie al quale potrò esporre il lavoro nella Chiesa di Santa Maria dell’Angelo, a Faenza. Lì sarà creata una struttura in bambù per sostenere il foglio, di forma circolare”. Un’iniziativa inserita nel calendario ufficiale per il settecentenario dantesco, che vedrà, il 25 marzo 2021, il primo ufficiale “Dantedì” indetto dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, dopo l’anno zero appena trascorso in piena emergenza Coronavirus. “Vedere la mia opera finalmente innalzata sarà un tuffo al cuore”, confessa Enrico emozionato, prima di rimettersi al lavoro con il sorriso sulle labbra.