Ha fatto ritorno a Nichelino il Treno della Memoria, dopo un lungo viaggio iniziato il 1° febbraio che ha portato centocinquanta ragazzi a vedere con i propri occhi cosa ha saputo produrre la barbarie nazista nei campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau. Un treno della memoria per non dimenticare cosa è stato l'Olocausto, ma soprattutto per raccontare alle giovani generazioni il senso della storia.
Ad accompagnare i viaggiatori anche l'assessore Fiodor Verzola e la vice sindaca di Nichelino Carmen Bonino, che al ritorno hanno raccontato le emozioni provate e l'importanza di tenere in vita la memoria del passato. "Al treno della memoria devo più ringraziamenti di quanti ne possa pronunciare, ma alcuni hanno più valore di altri. A livello personale, sarò sempre e profondamente loro grato per avermi permesso di riallacciare i fili spezzati della mia storia familiare, trovando attraverso l’ @aned.exdeportati la scheda di registrazione di Mio Nonno Santìn all’ingresso nel Lager", ha ricordato Verzola.
Verzola: "L'importanza di ricordare quanto si è appreso"
"Il valore di questa scoperta ed essere riuscito a comunicarlo a mio Papà settantotto anni dopo, prima di perderlo, ha un valore inestimabile per me, per la mia famiglia, per la nostra storia che può continuare a essere raccontata", ha aggiunto Verzola, prima di ringraziare i giovani che hanno partecipato all'iniziativa: "meravigliose anime belle che per nove lunghi e intensi giorni hanno viaggiato, studiato, riso e pianto insieme, vivendo emozioni impossibili da descrivere se non a chi questo viaggio l’ha già fatto". Infine l'invito: "Ricordate che il viaggio non finisce oggi, ma inizia proprio oggi, quando torneremo al tepore delle nostre case, quando gli stimoli frenetici della metropoli ci faranno riprendere i ritmi ossessivi che la società impone. È lì, proprio in quel momento che dovremo ricordare quanto abbiamo appreso".
Bonino: "Fare la differenza dopo aver visto questo inferno"
La vice sindaca Carmen Bonino ha ricordato come "ogni oggetto, porta un nome e una storia", dopo aver visitato il campo di Auschwitz, provando a immedesimarsi in coloro che avevano vissuto quella tragedia. "Freddo, fame, pidocchi e topi, latrine comuni senza vergogna , pagliericci e giacigli di legno come conigliere, stufe mai accese, un ospedale che non era luogo di cura e salvezza ma luogo di smistamento ed eliminazione dei più’ deboli con una puntura al cuore, filo spinato ad alta tensione che impediva di essere liberi ma che poteva liberare da una vita di disperazione… eppure c’era la speranza di farcela, ma fino a quanto si era disposti a sopportare e a rinunciare per non perderla? Noi e gli altri, talvolta gli altri siamo noi , e se non ci fosse nessuno a difenderci saremmo finiti".
Per questo l'invito finale è uno solo: "Chi di noi ci è stato ed ha visto l’inferno deve fare la differenza!".